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La soulsville d'Europa

di Michele Manzotti
  Un'immagine del festival
Data di pubblicazione su web 01/09/2008  

Anche la toponomastica aiuta a caratterizzare una località. Per questo quando ci si imbatte in via Otis Redding e in Rufus Thomas Park nel cuore dell'Appennino Bolognese si capisce subito che Porretta è più di un esperimento riuscito: da 21 anni infatti la località termale diventa la “Soulsville” d'Europa coinvolgendo artisti che vengono da oltreoceano, stampa specializzata che resta per tutti i giorni della rassegna e un pubblico che raggiunge cifre record (quest'anno 15 mila) se sommiamo gli spettatori paganti a quelli che assistono ai concerti in piazza grazie al maxi-schermo. Tutto nacque nel 1987 quando Solomon Burke partecipò alle ultime trasmissioni di Doc con Renzo Arbore e Graziano Uliani, grande appassionato di soul, chiese a Ernesto de Pascale (collaboratore della trasmissione) di convincere Burke a  restare in Italia quei giorni. Queste dunque le origini, con il “vescovo del soul” a battezzare un’iniziativa che quest’anno ha presentato due esclusive italiane e presenze di lusso.

Partiamo dai francesi Captain Mercier: un gruppo di dieci elementi il cui leader Jacques Mercier nel 1967 aveva pubblicato un 45 giri con il gruppo Jelly Roll con una cover di Otis Redding Try, A Little Tenderness, divenuta Je travaille a la caisse. Attorno a lui musicisti di grande eccellenza strumentale e di presenza scenica con un repertorio che parte dal Rhytm’n’Blues e che arriva al funky, tutto rigorosamente in francese. 40 minuti di sano divertimento che hanno visto anche un doveroso tributo a Nino Ferrer. Porretta è stata così l’unica manifestazione italiana a ricordare l’artista italo-francese che ha fatto la storia della musica pop e della televisione in bianco e nero del nostro paese. «Fu graze ai Jelly Roll − spiega Mercier −  che ho avuto il privilegio di avvicinarlo e di suonare con lui anche solo in una jam session. Poi ho collaborato con la sua compagna Radiah Frye cantando nel coro che accompagnava Hallyday negli anni '80. Di Ferrer noi presentiamo un medley fatto dei Je Voudrais Etre Noir, Le Téléfon, Les Cornichons, Le Sud. Ma tutto il suo repertorio è degno di essere recuperato».

Henry Butler
Henry Butler



L’altra esclusiva italiana è stata la presenza di Joe Simon, anzi di Bishop Joe Simon. Ieri si presentava sul palco con coloratissimi pantaloni a zampa d’elefante. Oggi è un distinto pastore evangelico impeccabile nel suo completo nero con clergyman e copricapo. Ma sul palco riesce ancora ad avere un’energia senza pari, grazie anche ai fedeli che partecipano allo spettacolo con lui. 65 anni, dotato di potente voce baritonale, dopo il Grammy Award del 1970 con Chokin' Kind (ripresa recentemente dalla giovane star Joss Stone) e la nomination del 1971 per l'album The Power Of Love, lasciò la musica per divenire vescovo di una Chiesa cristiana evangelica dei sobborghi di Chicago. «Se non fosse stato per l'amico Graziano che mi ha in pratica 'rapito' − spiega Joe Simon − non mi sarei mai esibito in un festival musicale. Ormai ho cambiato vita da anni e rappresento il Regno di Dio». A Porretta è stato accompagnato in un repertorio gospel da un coro di ragazzi che vengono dalla Florida: il D Avenue Boys Gospel Choir, costituito da 21 giovani di Fort Pierce, dai 6 ai 18 anni. Ragazzi tolti dalla strada.«Nei miei tour per il mondo vedo come i giovani siano molto vulnerabili e con  tanti problemi. Per questo ringrazio tanto chi accoglie con gioia questo coro». Sul futuro degli Stati Uniti è chiaro: «Io sto con Obama, Scrivetelo! A Bush dobbiamo 8 anni di Casa Bianca in stile naif».

joe Simon & D avenue gospedl choir
Joe Simon & D avenue Gospedl Choir



La Revue della sera finale ha permesso in un’ora di apprezzare la gran parte dei protagonisti del festival, a partire da Henry Butler. Cantante e pianista non vedente, da Doctor John è stato definito l’orgoglio di New Orleans. Dall'eccezionale cantante Mable John, a Otis Redding III (in un ovvio ma significativo omaggio al padre), tutti sotto la guida dell'ecellente Austin DeLone, che ha allestito una house band piena di stelle a partire dal batterista Ernst “Boom” Carter che ha suonato in Born to Run di Bruce Springsteen. Per non dimenticare un altro sensibilissimo pianista-cantante di New Orleans come Davell Crawford e il gran finale di Chaka Khan, molto diva negli atteggiamenti, ma eccellente interprete. «Le scelte di Henry Butler e Mable John che potevano sembrare le meno popolari − spiega Uliani − si sono rivelate quelle più apprezzate dal pubblico. Infatti la gente viene a Porretta spesso non conoscendo gli artisti, ma sicura di trovare una grande qualità».




Porretta Soul Festival



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