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Addio giovinezza

di Siro Ferrone
  I due gemelli veneziani
Data di pubblicazione su web 20/03/2001  
Questo testo di Goldoni ha un solo personaggio, anzi due, i gemelli Tonino e Zanetto, e quindi pare di modesta ricchezza drammaturgica, essendo l'intreccio assai poco originale e gli altri personaggi nient'altro che leggere silhouettes. Ma quel doppio protagonista, spesso trampolino di lancio per spettacolari esibizioni di primi attori antichi e moderni (ricordo un memorabile Alberto Lionello diretto da Luigi Squarzina al Teatro Stabile di Genova), ha un pregio raro nella drammaturgia italiana: è dotato di qualità comiche e drammatiche, ridicole e tragiche.

La fusione di questi contrari è assai poco diffusa nella nostra drammaturgia tra Sette e Ottocento (Da Ponte, Verdi) e spesso trascurata dalle messinscene goldoniane. E invece, grazie alla prova sublime di Massimo Popolizio, finalmente giunto ad una piena maturità interpretativa (finora gli facevano difetto disinvoltura e immaginazione sul versante del comico e dell'improvvisazione), e all'intelligente interpretazione critica di Luca Ronconi, che ha incupito e appesantito il clima della commedia senza per questo recintarla in un ghetto intellettualistico, il testo goldoniano è parso modernissimo, anzi più antico. E mi spiego. Eliminando la maniera settecentesca secondo una lezione che risale più a Visconti che a Strehler, e raschiando via tutta la patina della Commedia dell'Arte (quella Commedia dell'Arte che spesso i nostri teatranti interpretano secondo le convenzioni del teatro dei burattini ottocentesco piuttosto che secondo la materialità seicentesca), Ronconi ha fatto di Goldoni l'ultimo erede della tradizione drammaturgica classica consacrata al tema del doppio, del sosia, del gemello e del rispecchiamento: dunque Plauto, Ariosto, Bibiena, fino a Tasso e a Giovan Battista Andreini, autore quest'ultimo di una commedia, Li duo Leli simili, che dei Due gemelli veneziani pare l'antecedente. Proprio quest'anno Ronconi ha ripreso con gli allievi della sua scuola un testo andreiniano già allestito a suo tempo all'Accademia d'Arte Drammatica di Roma, L'Amor nello specchio, capolavoro del gioco simulato e autentico dello sdoppiamento e della moltiplicazione delle immagini riflesse, interiori e esterne.

La scena è arredata da armadi e specchi disposti secondo fughe e corridoi che ricordano le prospettive del palcoscenico del teatro Olimpico di Vicenza. Citazione classica e barocca a un tempo. Il colore prevalente è il nero, l'abito dei gemelli protagonisti è rosso, Arlecchino ha perso per strada la maggior parte dei suoi colori arlecchineschi. Del resto i quadri dedicati alla celebre maschera dal settecentesco Giovanni Domenico Ferretti sono spesso cupi e notturni, più vicini al Seicento che ai Tiepolo.Ma lo spettacolo parla anche una lingua moderna, quasi stabilendosi come degna e opportuna continuazione del lavoro memorabile svolto da Ronconi su Lolita (di cui si ricorda, all'inizio del secondo tempo, il grande letto con specchi che domina gli ambienti dei Motel in cui il Professore trascina la ninfetta, tra sogno e realtà). Di quella regia quest'ultimo testo costituisce il riflesso minore, quasi realizzato con la mano sinistra, ma rivelatore.

Nel gioco che più Ronconi ama, quello dello specchio, Zanetto e Tonino sono come le due Lolita messe in scena nell'altra regia grazie allo sdoppiamento del ruolo in due attrici. Là due attrici per un ruolo, qui un attore per due ruoli. Più che gemelli i due Popolizio sono due diverse età dello stesso uomo come Galatea Ranzi e Elif Mangold erano due diverse stagioni della vita della ragazzina (poi donna-madre) adorata e sognata da Humbert Humbert (anche lui doppio nome e doppia personalità). È questa - sulla scia di Nabokov - la più bella e felice intuizione di Ronconi. La morte dell'ingenuo, maleducato, selvaggio, illogico, spontaneo, emozionato, palpitante, puro, Zanetto, a opera dell'avido e speculatore Pancrazio, è interpretata come la fine dell'infanzia di Tonino. Costui, giunto all'età adulta, come Lolita, conclude da buon saggio borghese la commedia con un matrimonio. Accanto a lui un mimo-manichino con una bianca maschera dipinta sul viso ricorda le fattezze schematiche di quello che fu il suo doppio, la sua coscienza aurorale. Commovente congedo dell'uomo dal suo Pinocchio, tanto comico e gioioso quanto fragile e mortale.



I due gemelli veneziani
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