“Virtuosismo” è un sostantivo facilmente spendibile per la musica di Haydn: virtuosismo sonatistico, vocale e, perfino, psicologico, laddove lesecutore riesca a trasmettere senza squilibri la duplice natura lequilibrio sonoro del classicismo più aureo esaltato, anziché contraddetto, da caute ma palpabili avvisaglie di preromanticismo di un compositore che chiude unepoca e ne apre unaltra. Al Teatro dei Rozzi però, a conclusione della Settimana Musicale Senese, si è visto un nuovo tipo di virtuosismo applicato al mondo musicale haydniano: quello marionettistico.
In realtà, proprio nuovo non è: destinate per quella sorta di paese dei balocchi musicali che era il castello di Esterháza durante Nicola Giuseppe il Magnifico, le opere per marionette rappresentarono, tra il 1773 e il 1777, un momento circoscritto ma non marginale dello sterminato iter creativo di Haydn. Su quattro lavori solo Philemon und Baucis, basato su uno dei più celebri episodi delle Metamorfosi di Ovidio, non è andato perduto: un po poco per azzardare la tesi comunque suggestiva, e da più parti propugnata in occasione di questo spettacolo che il teatro musicale per marionette fu uno dei principali affluenti di quel fiume che, di lì a qualche decennio, sarebbe sfociato nella nascente opera nazionale tedesca. È quanto basta, invece, per rallegrarsi del recupero di un gioiellino dimenticato, appartenente alla famiglia del Singspiel, dunque con un ampio ricorso ai dialoghi parlati (la partitura reca la definizione “azione teatrale con canto”), e riproposto a Siena con il solo materiale musicale di sicura provenienza haydniana, senza quegli innesti di altri autori che si sedimentarono nel tempo.
È spettato a una storica compagnia marionettistica come Carlo Colla e Figli di farsi carico delloperazione, con Eugenio Monti Colla, penultimo anello generazionale della dinastia, chiamato a firmare regia e versione drammaturgica. Era proprio questultimo il compito più ingrato: senza voler rinverdire lannoso dibattito sullHaydn drammaturgo deficitario o drammaturgo incompreso, sta di fatto che il compositore non si preoccupa di far trasparire dietro il mito quellallegoria del contemporaneo che era, in fondo, il vero interesse di Ovidio. Qui non laiuta neppure lironia, benché spesso le sue opere ne fossero provviste: Philemon und Baucis è totalmente privo di quegli spunti umoristici e sensuali che, novantanni dopo, caratterizzeranno il Philémon et Baucis di Gounod.
Deragliando anche nei fatti rispetto al poema latino (manca proprio la metamorfosi di Filemone e Bauci in quercia e tiglio), il libretto si limita a una variazione sullantico tema dellamato bene morto e riportato in vita: a resuscitare grazie alla benignità degli dei qui sono il figlio e la nuora dei due anziani protagonisti. Ma Colla sa bene come tutto ciò, in questopera, avvenga allinsegna duna stilizzazione e una sintesi implicite nella natura del Marionettentheater che impedisce una vera articolazione drammaturgica. Stando così le cose, lo spettacolo punta sulla dimensione fantasmagorica e illustrativa: e lo fa con quel virtuosismo strepitoso di cui si diceva allinizio. Alcune istantanee (un pavone che fa la ruota, la fuga di unoca destinata alla padella
) restano indelebili nella memoria: non solo per la sapienza tecnica nellarte della manovra dei fili, ma per eleganza figurativa e senso pittorico. Al di là dei singoli momenti, ciò che però lascia più ammirati è la musicalità dello spettacolo marionettistico, la sua plasticità perfettamente calibrata sulla tavolozza sonora di Haydn. Quasi una “partitura visiva” giustapposta a quella pentagrammata.
Opera di personaggi volutamente elementari (marionette, appunto, non caratteri), Philemon und Baucis trova la propria profondità nella dimensione strumentale più che in quella vocale. Dalla tempesta evocata nella sinfonia al catartico Do maggiore della pacificazione finale è lorchestra a reggere i fili, psicologici e narrativi, della vicenda e la direzione di Fabio Biondi scandaglia ogni recesso fonico. La dimensione drammatica, però, sembra quella privilegiata. Senza nulla togliere alla fondamentale castigatezza del suo mondo musicale, lHaydn maestro di Beethoven qui esce fuori chiaramente: gli archi dellensemble Europa Galante sfoggiano sonorità scure e intense, senza quella fobia per il “vibrato” che, spesso, affligge i complessi specializzati nel repertorio barocco e classico.
I cantanti collocati accanto allorchestra, mentre in palcoscenico agiscono le marionette hanno offerto prove alterne ma, nellinsieme, apprezzabili: la debolezza della protagonista femminile (Marivi Blasco, dai suoni molto fissi) è stata compensata dalla musicalità e scioltezza (pazienza se in alto si sente un po di fatica) del secondo soprano Gemma Bertagnolli e da una ben differenziata coppia di tenori. Carlo Vincenzo Allemano, infatti, regge bene la tessitura baritenorile del vecchio Filemone, mentre Magnus Steveland si destreggia con abilità, pur dovendo ricorrere spesso a emissioni in falsetto, nellassai più acuto ruolo del figlio Arete.
Due sole recite, purtroppo. Ma con il pubblico in festa.
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