drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Senza Star System (ma con molta sostanza)

di Paolo Patrizi
  Una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 16/07/2008  
Compositore fedele all’inversione dell’assioma “prima la musica, poi le parole”, Poulenc riuscì nell’impresa di flettere in prosa cantabile testi di Apollinaire, Cocteau, Bernanos: come nel Debussy di Pelléas et Mélisande, o in certo Pizzetti, ne scaturì un Wort-Ton Drama dove la compenetrazione parola-suono trovava il proprio compimento in un classico della letteratura preesistente, e senza che nel musicista il tecnicismo necessario a un’operazione del genere soffocasse la freschezza dell’ispirazione. Se però la sinteticità dell’Apollinaire delle Mammelle di Tiresia e del Cocteau della Voce umana consentirono un travaso sostanzialmente integro del testo letterario, per il Bernanos dei Dialoghi delle carmelitane – lavoro concepito all’origine come sceneggiatura cinematografica, dunque con un’alternanza di quadri ben più abbondante d’una pièce tradizionale – il primo problema fu la selezione del materiale. Poulenc riuscì a risolverlo grazie alla musa dell’ellissi: tanti tableaux (dodici in tutto, spesso separati da interludi) che rendono davvero l’idea, più che della compiuta cadenza narrativa, d’una serie di “dialoghi”. Sacrificò molto – soprattutto nella seconda parte – alla chiara articolazione del plot, ma il pessimismo religioso e lo spiritualismo anarchico dell’autore del Diario di un parroco di campagna ne uscirono tutt’altro che banalizzati.




Non è un caso se, a mezzo secolo dalla “prima”, quest’opera così moderna gode d’una rinnovata fortuna esecutiva: prestigiosi allestimenti dei Dialogues si sono avvicendati in vari teatri d’Europa negli ultimi anni, e quello diretto da Muti per la regia di Carsen (a Milano per due stagioni) non è che uno dei tanti. Tra cotanto senno non sfigura questa produzione, proveniente dall’Opera di Zagabria, proposta al Festival di Lubiana: un’edizione priva di nomi dello star system (ma il mezzosoprano Zlatomira Nikolova, poco nota fuori dell’area ex iugoslava, è una gloria nazionale), eppure solidissima per qualità musicali e amalgama complessivo. Anzi, se il quintetto protagonistico femminile ha un punto debole questo è proprio l’unico elemento estraneo alla compagnia stabile del teatro: la guest star Dagmar Schellenberger, fino a qualche tempo fa in auge pure nei palcoscenici italiani, che plasma una Blanche di modeste attrattive vocali (l’espansione lirica è pregiudicata dall’aridità timbrica) e interpretative (una perenne tensione forse epidermicamente efficace, ma che toglie progressività drammatica al personaggio).

Ormai in fine carriera, è invece la Nikolova a dominare in palcoscenico nella parte di Madame de Croissy. La voce, inequivocabilmente matura, è tuttavia integra per volume, tenuta di fiati, colore: una volta tanto la vecchia priora viene affidata, sì, a una veterana, ma che canta tutte le sue note, senza doversi arrangiare con un generico declamato o un vero e proprio “recitato”. Autenticamente mezzosopranile, seppure alle prese con una tessitura anfibia, è anche la voce di Dubravka Šeparović-Mušović, che ci restituisce tutte le ragioni di Mère Marie, rendendo lo spettatore partecipe dei tormenti d’un personaggio con cui non è facile entrare in empatia. Alle prese con una scrittura vocale ora calligrafica ora scomodissima (la Tebaldi, per la quale Poulenc aveva concepito il ruolo, preferì rifiutare) Željka Martić si ritaglia un bel primo piano nell’entrata della nuova priora, pur annaspando un po’ – quanto a fiati – nel monologo del terzo atto. E Marija Kuhar è forse la più “in parte” di tutte, per come utilizza in senso espressionista la propria voce di soprano leggero: l’iniziale isteria religiosa dell’adolescente Soeur Constance trova una rappresentazione efficace in certe note acutissime, mentre il canto morbido e disteso poi impresso al ruolo sigla il suo trapasso verso una fede senza più ombre di psicosi e superstizioni.




Meno probanti gli interpreti maschili (il più a fuoco è il tenore Dejan Vrbančić, nella breve ma icastica parte del cappellano) e notevole invece la prova dell’orchestra: Michael Helmrath dirige un complesso di esemplare compattezza negli archi e, nell’insieme, assai apprezzabile pure nei fiati (qualche sbavatura solo nell’interludio tra secondo e terzo quadro), offrendo una lettura analitica, che esalta l’indagine ritmica di Poulenc e l’implacabilità di certi “ostinati”, ma anche l’afflato vocale della partitura.

Krešimir Dolenčić firma una regia scarna ed elegante, molto attenta alle luci, con un parco uso di proiezioni (usate in senso sia descrittivo sia evocativo), puntuale nella cura della recitazione senza essere invasiva per i cantanti. E non mancano, nell’epilogo, un paio di soluzioni tanto sobrie quanto di grande effetto. Da un lato Mère Marie collocata fuori scena, in una gradinata digradante verso la platea, durante il supplizio delle consorelle: una maschera d’angoscia che illustra perfettamente come il vero martirio sia quello dell’unica superstite, più che delle condannate. Dall’altro il modo con cui le carmelitane si avviano al patibolo: la ghigliottina viene rappresentata da un semplice taglio sghembo di sipario, mentre a ogni andar giù della lama (di volta in volta evocato dall’orchestra di Poulenc) la vittima di turno si allontana silenziosamente, congedandosi dal pubblico e dalla vita.

I due intervalli – anche se gli spettatori per lo più hanno preferito uscire dalla sala – offrono un supplemento di spettacolo: per tutta la durata del primo le suore rimangono in scena, vegliando il cadavere della vecchia priora e intonando un atipico canto gregoriano (registrato) per sole voci femminili; mentre nel secondo i rivoluzionari, a convento ormai espropriato, intonano la Marsigliese e giocano a carte. Ecco due casi in cui la regia si sovrappone, teoricamente, alla musica: ma con perfetta logicità, e dunque non disturbando affatto.




Lettera da Lubiana Les Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc



cast cast & credits



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013