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Danza israeliana a Reggio Emilia

di Gabriella Gori
  Una scena di <i>Three
Data di pubblicazione su web 03/07/2008  
Reggio Emilia è ormai la solida roccaforte della danza contemporanea in Italia grazie al RED. Il Reggio Emilia Danza Festival che quest’anno ruota intorno ad Israele. Lo Stato ebraico che festeggia i suoi primi sessant’anni ed è protagonista della manifestazione reggiana con Ohad Naharin e la Batsheva Dance Company, il gruppo storico della Kibbutz Contemporary Dance Company e alcuni nomi della scena coreografica israeliana fra cui vale la pena di ricordare Talia Paz e Avi Kaiser. Un mosaico di presenze ed eventi in linea con la tradizione emiliana di alternare edizioni monografiche ad altre dedicate ai maestri della coreografia contemporanea, William Forsythe, Jirì Kyliàn, Mats Ek, John Neumeier, e ai più interessanti esponenti della cosiddetta “Generazione di Mezzo”. Una vocazione ospitante e festivaliera che si riflette anche sulle scelte artistiche dell’Aterballetto, da febbraio diretto da Cristina Bozzolini. La generosa e volitiva capitana fiorentina che ha già impresso il suo marchio sulla direzione artistica e sugli elementi della “squadra di danza” di Reggio.

Terra
Terra


E proprio dall’organico ‘bozzoliniano’ è necessario partire non tanto per rispettare l’ordine del palinsesto coreografico del RED, che lo vede comunque esibirsi prima della Batsheva Dance Company impegnata in Three di Ohad Naharin, quanto per rilevare il cambiamento avvenuto nell’ensemble e nel coreografo principale ed ex-direttore Mauro Bigonzetti dopo “la cura Bozzolini”. Cambiamento che traspare nella maggiore consapevolezza di sé e nel modo più sereno di porsi, più che visibili in Terra, il balletto firmato dallo stesso Bigonzetti per l’Aterballetto, e in Minus 7 di Ohad Naharin, messo in scena dalla compagine reggiana al Teatro Valli.

Terra
Terra


Terra, presentato in prima assoluta su musiche di Bruno Moretti e costumi anni Cinquanta di Marella, è il racconto del distacco dalla propria terra e dell’incessante migrare in cerca di un nuovo approdo in cui mettere radici. Un estenuante andare che, se di primo acchito fa pensare alla storia del popolo d’Israele e alla pacifica conquista della Terra Promessa, in realtà poi diventa il simbolo del viaggio dell’uomo attraverso i secoli, perennemente  spinto a mutare luogo e  pensiero per continuare il suo cammino. Una condizione che se per un verso gli fa vivere lo sradicamento con angoscia e solitudine, specie nell’«ora che – come dice Dante – volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core», per un altro lo riempie di speranza e di attesa per un futuro migliore. Nella fabula viatica di Bigonzetti è chiaro “il correlativo oggettivo” usato per rendere visibili questi due opposti stati d’animo con i danzatori alle prese con pesanti valige che, simbolo delle tribolazioni di una vita, intralciano il percorso e l’abbandono, anche se momentaneo, dei bagagli per lasciare libero sfogo alla danza. Una danza che ha il compito di dare voce non alle paure, ben rappresentate dalle ingombranti valige, ma alle speranze che ognuno di noi nutre dentro di sé e che sono comuni a tutti. E se le parti corali fanno da contrappunto, sono il duetto e l’assolo a riflettere i sogni e le emozioni di coppie o di individui in cerca della loro nuova identità con lifts, prese, launchs, splits, e morbidi legati che stemperano l’aggressività creativa di Bigonzetti e lasciano il posto alla poesia del movimento. Un movimento che regola una creazione di notevole impatto visivo ed emotivo e dona leggerezza a un tema difficile, riconfermando la maestria di Mauro nel confezionare passi a due e soli di cui resta impresso da ultimo quello della ragazza, salutato dagli applausi come del resto l’intera pièce.

Minus 7
Minus 7


Di tutt’altro genere e afflato è Minus 7 di Ohad Naharin, «non un lavoro nuovo» – come precisa il dancemaker israeliano – ma una «ricostruzione» con sezioni di creazioni preesistenti riassemblate per organici diversi, in questo caso l’Aterballetto, con un procedimento che diventa una sfida a riconoscere volute autocitazioni e  l’occasione per assistere a un balletto piacevolissimo e coinvolgente. Un incontro tra lusus (gioco intellettuale) e ludus (divertimento puro) che sonda le l’adattabilità coreografica dei pezzi di Ohad Naharin e in cui alla fine – come sostiene il “danzautore” – il risultato è «coerente tanto quanto» gli originali a cui si ispira, «se non di più». Minus 7 piace dall’inizio alle fine a cominciare dal prologo. Un solo durante l’intervallo eseguito da un bravissimo performer in pantaloni e giacchetta scura, tutto giocato sul posto con una flessuosità quasi felina. A seguire il cha-cha-cha che ‘scalda i motori’, la sequenza bellissima delle sedie con i protagonisti che si liberano degli abiti paludati, l’emozionante duetto che prepara il gran finale. Un gran finale anticipato dal ballo con gli spettatori coinvolti dai danzatori che, scesi in platea, li inviano a ballare sul palcoscenico creando coppie che si esibiscono a metà strada fra il ballo da sala e il ballo da discoteca in un esilarante happening che è gioia pura per chi lo vive e chi lo guarda. Una trovata senza dubbio furba e di sicuro effetto ma non per questo da guardare arricciando il naso perché il ballo fa parte del nostro DNA e riuscire a colmare la distanza tra palcoscenico e platea è in fondo recuperare quella ancestrale ritualità collettiva e riscoprire la socialità della danza. E poi quando le cose sono fatte a regola d’arte bisogna ammetterlo e al Valli tutto ha funzionato a dovere e l’Aterballetto ha dato l’ennesima prova di essere una formazione con i fiocchi che si è divertita e ha divertito un pubblico entusiasta e generoso nella partecipazione spontanea e nei reiterati applausi.

Three
Three


Three di Ohad Naharin è una creazione tripartita messa in scena in prima italiana al Valli dalla Batsheva Dance Company, la compagnia che l’artista ha guidato dal 1990 al 2003 e di cui ora è coreografo residente. La prima formazione ebrea di danza moderna nata nel 1963 per volontà della baronessa Betsabea (Batsheva) de Rothschild, che all’epoca si rivolse a Martha Graham, e diventata con Naharin un solido gruppo contemporaneo interprete dello stile del suo mentore. Uno stile caratterizzato – per usare le parole di Ohad – «da un timbro costante ed esplosivo» in cui la danza non è “applicata”, cioè tesa a farsi veicolo di contenuti politici, morali e civili, ma passione, energia, vitalità e interesse per l’anatomia del corpo da cui scaturisce una dinamica originale, frutto della tecnica “Gaga”. Un metodo messo a punto dallo stesso Naharin che, dopo un incidente alla schiena, ha rivisto il suo training e quello dei suoi danzatori inventando un linguaggio basato sulla cinestesia. La ricerca delle sensazioni più intime e profonde del movimento,  specie in relazione alla contrazione dei muscoli volontari, che non tiene conto dei codici moderni e contemporanei, peraltro conosciuti da Ohad che ha collaborato con Martha Grahm, Maurice Béjart, Jiri Kyliàn, ma punta ad una nuova “coreuticità”. Ovvero una poeticità cinetica capace di suggerire o evocare attraverso la danza il senso di una poesia fisica e ‘anatomica’, apparentemente alogica nel prodursi del movimento tradizionale ma logica nel seguire gli input che provengono dal corpo.  E Three è sotto questo aspetto è il frutto dello stile di Naharin  e della tecnica “Gaga” mostrati dai bravi danzatori della Batsheva Dance Company, tutti rigorosamente in abiti casual firmati da Ohad Fishof  e accompagnati dalle luci di Avi Yona Bueno.

Three
Three


Nel primo quadro, intitolato Bellus, l’intera compagnia si muove sulle Variazioni Goldberg di Bach eseguite da Glenn Gould, articolando una serie di sequenze che seguono gli impulsi provenienti dal corpo che genera il movimento. In Humus, un parte tutta al femminile, le ballerine su musica di Brian Eno agiscono in una precisa zona del palcoscenico spostandosi in blocco. In Secus, che chiude Three, ritorna tutto l’organico per eseguire una serie diagonali e linee rette in cui la coreografia diventa un mosso disegno geometrico esaltato da musiche varie fra cui quelle dei Beach Boys. Alla fine applausi convinti hanno salutato l’originalità di Ohad Naharin, un coreografo che ha davvero qualcosa di nuovo da dire e da cui ci aspettiamo ancora interessanti sviluppi quando – come ha detto lui stesso – farà incontrare il suo “Gaga” con la danza classica e contemporanea.         


Reggio Emilia Danza Festival
Terra, Minus 7 e Three


Terra
cast cast & credits
 


Minus 7
cast cast & credits
 


Three
cast cast & credits
 



 
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