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Ahó che famijia…

di Roberto Fedi
 
Data di pubblicazione su web 08/04/2008  

I Cesaroni sarebbero, secondo quanto si sente nei ‘traini’ televisivi di Mediaset e si legge nel sito web, «una commedia brillante che propone, con uno stile leggero e vivace, la quotidianità descritta con realismo e ironia». Che è una bella frase fatta, che starebbe bene ai quattro quarti delle sit-coms che girano sulle Tv di tutto l’universo orbe (infatti è un format spagnolo: neanche questa roba siamo capaci di inventare). Qualche volta è anche vera. Più spesso no. È questo il caso della più insopportabile (secondo noi) situation comedy fra quante ne hanno inventate o almeno riadattate. Che è, appunto, I Cesaroni (venerdì, Canale 5, prima serata).

Brevi scene. Interni. Pochi personaggi (tutti falsi più di un soldo bucato). Semo aRoma. Già il titolo, che sarebbe poi il cognome dei ‘brillanti’ personaggi, è insopportabile: come si fa a chiamarsi Cesaroni in Tv? (qui è necessaria una parentesi: attenzione amici. Sappiamo benissimo che il cognome è  reale, e chissà quanti di voi si chiamano così. Tutti ricordiamo la povera Simonetta Cesaroni, un delitto rimasto, come tanti in questo paese, irrisolto – anche per questo, a dire la verità, avremmo scelto un titolo diverso per filmetti così caciaroni. Ma noi intendiamo dire che, nella fiction, la realtà è una cosa e lo script è un’altra – sennò perché si chiamerebbe fiction? Il problema è appunto che la realtà, di per sé, non è né poetica né televisiva né drammaturgica né niente: è la realtà, che da che mondo è mondo non interessa a nessuno, così com’è, in teatro o al cinema. Per essere drammaturgicamente accettabile, deve essere ficta, quindi ‘riscritta’, reinterpretata. Perché la realtà e basta, di per sé, sulla scena è o banale o grottesca. Scegliete voi. Chiaro?).

Come se diceva, semo aRoma. E già che questo significhi il centro der monno, beh sarebbe tutto da vedere (anzi: da véde). Gli attori, e qualche volta chiamarli così è dura, recitano ovviamente tutti in romanesco, anche perché probabilmente altro nun sanno fa’. Quindi, secondo gli autori, questa già sarebbe una cosa ‘brillante’ – dato che er dialetto de Roma dovrebbe da esse’ comico de suo. Già, se lo recitava Sordi… C’è infatti una inveterata idea demenziale (e scorretta) secondo cui il dialetto fa ridere. Che è vero se è quello di Ruzante, o del Belli, o del Porta, o di Eduardo (e infatti è una lingua in realtà tragica), non certo se è quella de li Cesaroni. Che invece è solo irritante, almeno secondo noi.

Poi ci sono le situèscion. Che dovrebbero, dice la pubblicità, riferirsi a «una quotidianità descritta con realismo e ironia». Meno male. Allora vediamo un po’ che passa la quotidianità la sera del venerdì 28 marzo.

Ci sono due episodi, anzi uno e mezzo. Il primo lasciamolo perdere che è meijo. Nel secondo i tre amici (che hanno una bottiglieria che meno realistica e ‘quotidiana’ non si potrebbe: Amendola che fa l’oste è da monumento teatrale all’inverosimiglianza) trovano un tale svenuto nel cesso. È Alessandro Gassman, in una delle sue più imbarazzanti interpretazioni. Pensano che sia scivolato nel cesso perché non a norma (semo o non semo aRoma?). Il tale rinviene. Ha perso la memoria (altra quotidianità: succede sempre o no?). I tre non trovano di meglio che fingere che sia un amico di Amendola, che se lo porta a casa. Il quale Amendola vive in una specie di reggia (sai quanto realistica) con la sua famiglia allargata: figli della prima moglie, figli della seconda moglie, e figli dei due (a proposito della quotidianità eccetera). Si porta anche l’amico, accolto a braccia aperte dalla moglie Elena Sofia Ricci (realismo). Il quale amico sta lì tutto contento, mentre tutti cercano di capire chi sia eccetera. Inutile andare oltre  – se non per dire che alla fine della puntata Gassman si rivela gay. Capirai.

Il tutto fra un ‘mortacci tua’, un ‘annamo’, ‘ahó’, un par de scorci de Roma bbbella, e per il resto tutto in interni. Fra un ‘mortacci tua’ e un altro c’è tempo per gli amoretti de li regazzini, due dei quali sono coabitanti ma figli ovviamente di genitori diversi (si spera), insomma uno del primo e l’altra della seconda: insomma, un bel casino, ovviamente molto perbenistico (ce mancherebbe).

Ora: tutto questo dovrebbe essere brillante, quotidiano, e ironico. La recitazione è un capitolo a parte, come sempre in questi casi – si ha l’impressione che sia stata sempre buona la prima. Li regazzini sono un caso a parte-bis: ma possibile che nun se trovino in tutta Roma bbbella tre o quattro bambocci che recitino non si dice un po’ meglio, ma almeno senza credere di essere da Maria De Filippi?

I Cesaroni sono alla seconda serie. Ahó, annamo  bbbene!

PS. Nella foto, palazzo Cesaroni a Perugia. Bel palazzone ottocentesco, gusto Liberty, realizzato nel 1898 e sede del Consiglio Regionale. Che non c’entra niente con la sit-com: ma questa ha una immagine ufficiale così brutta, ma così brutta (in linea col resto, va detto) che non ce la siamo sentita. Almeno, il palazzo è bello.









I Cesaroni

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