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Traghettare il teatro politico nel XXI secolo

di Paolo Albonetti
  La cattedrale di cartapesta (foto di M. Buscarino)
Data di pubblicazione su web 30/10/2002  
Parlare di questo spettacolo richiede al recensore di mettere da parte due pregiudizi abbastanza consolidati della critica teatrale italiana, cioè che un evento meriti attenzione quando presenta elementi "innovativi" e che un testo spettacolare, anche quando accenna ai problemi politici del giorno, acquisti valore se riesce a sublimarli nella raffinata allusione simbolica.

In base a tali premesse La cattedrale di cartapesta risulterebbe uno spettacolo privo di interesse: il pubblico assiste alle varie scene della rappresentazione seduto sul pavimento della sala, spostandosi davanti alle singole cappelle della cattedrale in un percorso guidato dagli attori; un dramma a stazioni, ispirato ai misteri medievali, dove la stupida prepotenza del potere variamente raffigurato (il grande pupazzone dello Zio Sam che tramuta magicamente un'allegra pecora in soldato, i piedi che schiacciano una contadina del terzo mondo e il suo asino, l'altro pupazzone dotato di fallo erettile attorno a cui si condensa uno show del sabato sera) è contrapposta alla resistenza della ragione che porta alla protesta e alla richiesta di un mondo basato sulla solidarietà dove cibo, riposo e istruzione siano garantiti a tutti. Dopo la presentazione dei singoli quadri viene celebrata una "messa insurrezionale" che si conclude con la sepoltura in gran pompa di un'idea bacata (al debutto "l'eliminazione del male" predicata dal presidente Bush) sotto una valanga di cartacce. Come si vede l'armamentario e le soluzioni sceniche della compagnia sono gli stessi del passato e il testo è caratterizzato dallo stesso esplicito e candido pedagogismo dei vecchi (e ormai introvabili) libretti di movimento del genere "Marx spiegato a fumetti".

La descrizione che ho dato dello spettacolo può far pensare a una rimasticatura, se non a una riesumazione, che si può tranquillamente evitare; e invece, anche grazie ai suoi apparenti difetti, il lavoro appare particolarmente ben riuscito. Infatti Schumann e i suoi assistenti, conducendo con i giovani attori del "Debutto di Amleto" il laboratorio che ha portato all'attuale allestimento, hanno ottenuto qualcosa che dovrebbe essere il minimo ma che oggi purtroppo non è scontato: formare un corpo di attori ben coordinato, capace di svolgere senza problemi diversi compiti (muoversi in coreografie complesse, recitare con voce udibile e ben impostata, manovrare con destrezza i grandi burattini) e soprattutto convincente.

E ciò perché gli interpreti in prima persona appaiono convinti di quello che fanno, non professionisti annoiati o dilettanti imbarazzati guidati dal grande regista che li porta in scena, ma giovani attori entusiasti, se si vuole anche ingenui, che però hanno partecipato a un progetto discutendo il testo con gli stessi coordinatori ed elaborando variazioni (ad esempio i riferimenti alle polemiche sull'imminente Social Forum di Firenze), e che quindi recitavano con sicurezza coinvolgendo e divertendo il pubblico. Ritengo che anche chi non condivida le tesi della compagnia, assistendo alla loro rappresentazione, sia spinto a confrontarsi con la loro visione del mondo e dopo lo spettacolo sia più appagato che non dopo aver presenziato a un qualche allestimento pretenzioso e di difficile decifrazione (che può addirittura lasciarci nell'imbarazzante incertezza di stabilire con noi stessi se ci ha interessati o annoiati).

La cattedrale di cartapesta
spinge a riaprire un discorso accantonato con eccessiva leggerezza negli anni Ottanta: l'attualità del teatro politico. Molti degli eventi teatrali che hanno riscosso attenzione negli ultimi tempi, dai monologhi di Marco Paolini al recente Mai morti portato in scena da Bebo Storti, partono da testi politici, caratterizzati da un'esplicita volontà didattica, e grazie a questo coinvolgono larghe fasce di pubblico poco attratte dalla tradizione registica degli Stabili o dalle sperimentazioni più elitarie. Una risposta che non appare particolarmente strana nell'attuale situazione socioculturale: venti-venticinque anni fa la crisi dei movimenti di massa di sinistra portò sia i teatranti che il pubblico ad allontanarsi da tematiche ideologiche troppo esplicite e fruste; oggi al contrario si diffonde sempre più la consapevolezza della necessità di opporsi, in nome della democrazia, a un "sistema" (si scusi l'espressione d'annata) che anche nei paesi avanzati appare sempre più incapace di fornire sufficienti garanzie di adeguate retribuzioni, tutela sanitaria e accesso all'istruzione alla maggioranza della popolazione, mentre si affanna con mezzi più o meno legali a tutelare le posizioni di potere acquisite e a autogiustificarsi ogni giorno, attraverso l'uso martellante dei mezzi di comunicazione di massa, promettendo miglioramenti e vantaggi per tutti in un futuro relativamente imminente. Condizioni che giustificano abbondantemente, da parte dell'intelligenza critica, la protesta e il pamphlet. E un pamphlet elaborato da una persona di spirito è un testo più interessante e valido di un esercizio di stile autoreferenziale.


La cattedrale di cartapesta
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