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La felicità nella natura

di Emanuele Nespeca
  Into the Wild
Data di pubblicazione su web 28/01/2008  
"Happiness is true when is shared…", ovvero la felicità è vera, reale, solo se è possibile condividerla con qualcun altro. Questa è la frase che sembra illuminare e concludere l’affannosa ricerca di Christopher McCandless, protagonista dell’ultimo film firmato da Sean Penn. Sei anni dopo La promessa, il famoso attore hollywoodiano, che dichiara di essere sempre più conquistato dal potere della regia, torna dietro la macchina da presa, stavolta firmando integralmente anche la sceneggiatura, e porta sullo schermo un’opera complessa e biografica come Into the wild.

 

La storia racconta un fatto realmente accaduto, basandosi principalmente sul libro/biografia scritto da John Krakauer, edito in Italia col titolo Nelle terre estreme, e ripercorre la radicale decisione di vita intrapresa dal giovane McCandless. Siamo all’inizio degli anni ’90 e questo ragazzo americano appena diplomato, con davanti la prospettiva di studiare in una buona Università (Scienze Politiche) e di fare una brillante (quanto convenzionale) carriera professionale, decide di azzerare la propria esistenza, intraprendere un viaggio verso l’Alaska, per ricostruirsi una nuova identità, un nuovo sguardo, una nuova coscienza. Inizia così un’avventura on the road che porta Cristopher ad abbandonare la vecchia macchina in mezzo al deserto, bruciare denaro e documenti per iniziare un percorso altro, sotto lo pseudonimo di Alexander Supertramp (il superviaggiatore), che lo porta a girare l’America, dal sud al nord, in compagnia delle sue letture preferite (Jack London, Lev Tolstoj, Lord Byron, Henry David Thoreau). Lungo la strada Alex incontra persone e personaggi, interpretati tra gli altri da Vince Vaughn, Catherine Keenar, Kristen Stewart e Hal Holbrook, che arricchiscono d’esperienza il suo girovagare e lo fanno diventare protagonista di un epico percorso "verso la saggezza".



"La felicità è in tutto ciò che ti circonda, e per raggiungerla devo isolarmi in essa" dice nel film il supertramp, il suchender di hessiana memoria, deciso a spingere la propria ricerca oltre il limite consentito dalla natura più selvaggia. Chris, finalmente in Alaska, stabilisce la dimora in un vecchio autobus di linea abbandonato nella foresta, rappresentazione della magia di un luogo romantico e allo stesso tempo dell’ostilità di un territorio sperduto e inaccessibile all’uomo. Dentro la natura, infatti, non si possono realizzare compromessi e la vita, come la morte, accade nella sua più inesorabile semplicità. Christopher McCandles, interpretato magnificamente dal giovane Emilie Hirsch, muore da solo il 18 agosto del 1992, consumato dal freddo e da un banale avvelenamento alimentare, diventando però (e a maggior ragione dopo questo film) il simbolo della sfida che ogni giovane dovrebbe compiere per diventare un uomo.



Sean Penn, noto fino a qualche anno fa oltre che per alcune indimenticabili interpretazioni per la burrascosa e chiacchierata vita privata, sancisce definitivamente con questo lavoro la sua maturità artistica, combinando la tradizione epica della narrazione hollywoodiana con un respiro moderno e un impegno civile pari a quello di grandi autori/attori americani come Clint Eastwood e Robert Redford. Le profondità degli sguardi, dei silenzi e delle parole ricercate negli attori o la relazione della storia con i paesaggi incontaminati dell’America selvaggia, rendono Into the Wild un’opera maestosa e sommessa al tempo stesso. Un’opera in cui la complessità della modernità, trova una via di fuga nella naturalezza con cui le inquadrature mostrano l’evolversi della vicenda e dei personaggi. Così la tragedia interiore vissuta dal padre di Christopher, interpretato da un sempre grande William Hurt, si risolve in un’intensa quanto breve sequenza che lo vede accasciarsi sulle ginocchia in mezzo alla strada, sconfitto dal dolore e dalla sua incapacità di amare. Mentre l’incontro tra un enorme orso grizzly e il piccolo, quanto consumato, eroe McCandless sintetizza in un attimo la grandezza e la miseria della condizione umana. E non è un caso se Chris, quasi a metà della pellicola, che sta mangiando con gusto una mela seduto sul ciglio della strada, si accorge della presenza della macchina da presa e, strizzando l’occhio verso lo spettatore, conferma quanto il regista intenda mescolare nella visione il piano della finzione con quello della nostra realtà. In fondo il messaggio nobile e passionale di Sean Penn, in linea con quello delle sue precedenti opere Tre giorni per la verità, La promessa e in particolare con il cortometraggio all’interno di 11 settembre 2001, suggerisce, senza voler consigliare la stessa esperienza estrema del protagonista, che la soluzione alla confusione e alla indecisione dei nostri giorni si può ritrovare nel contatto (presa di coscienza) con se stessi e con gli altri.







Into the Wild
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