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Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me
Sik Sik, l’artefice magico


di Siro Ferrone
  Carlo Cecchi
Data di pubblicazione su web 14/12/2007  

Carlo Cecchi è – si parva licet componere magnis – come Omero. Ogni tanto si addormenta sugli allori. Ma quando non lo fa è un grande Maestro, uno dei migliori attori possibili. E’ quanto succede in questi due brevi allestimenti che vengono presentati insieme in un’accoppiata di minimalismo vincente.

Si tratta di tre “dramoletti” di Thomas Bernhard e di Sik-Sik l’artefice magico di Eduardo De Filippo. Perfetta, nel primo caso, l’esecuzione messa in scena da Cecchi e dal suo eccellente partner, un Elia Shilton eccezionale per tempi e metodi. I due attori scandiscono le battute e i movimenti con l’armonia di un duo musicale, misurando le pause e le riprese, le concatenazioni di parole e gesti, in un continuum che conquista l’intelligenza e l’emozione. Una specie di scherzo musicale che viene esaltato da un testo tanto minimale quanto altissimo per leggerezza. Il protagonista è il regista Claus Peymann chiamato ad assumere la direzione del Burgtheater di Vienna e impegnato a dialogare con la sua segretaria e lo stesso Bernhard, ora nel suo studio ora in casa sua ora in cerca del ristorante. Un delirio di dialoghi senza capo né coda, un concertino sulla nostra demenza borghese quotidiana, e di quella dei teatranti in particolare. Un’indigestione di nevrosi a cui Bernhart e Cecchi ci sottongono (la prova dei vestiti, la scelta del ristorante, l’ansia del partire non minore dell’ansia dell’arrivare, l’odio per tutti a cominciare dai teatranti) come a una lavanda gastrica di umorismo, da cui si esce allietati nell’intelligenza e nel sentire. Mirabile.

Sik-Sik l'artefice magico
Sik-Sik l'artefice magico



Quasi a dimostrare la variegata gamma del suo talento, nella seconda parte dello spettacolo, Cecchi si riaccosta a Eduardo, a uno dei testi più leggeri e, in fondo, sofisticati dell’attore napoletano: fortunatamente privo di troppe implicazioni ideologiche. Insomma il migliore Eduardo possibile. Qui il prota gonista (Cecchi, ovviamente) è un guitto senza arte né parte, in gran parte svogliato e alquanto imbroglione. Deve allestire uno spettacolo di predigitazione ma ha perso il partner che deve aiutarlo nell’imbroglio, accanto a lui è una scimunita assistente e un improvvisato collaboratore; arrivato in ritardo, il collaboratore abituale, renderà ancora più complicata la situazione. Forse un critico intellettuale potrebbe rinvenire nella situazione una metafora del teatro diviso tra gioco premeditato e gioco improvviso. Chi scrive (essendo solo un professore) non ci vede altro che l’ingegno creativo di un attore che scriveva (Eduardo) e quello di un attore che, per fortuna, solo recita (Cecchi).

E recita, Carlo Cecchi, anche qui con piena soddisfazione sua e del pubblico, improvvisando più o meno su un copione fatto apposta per dare aria alle battute. Tanto quello di Bernhard è un testo dalle concatenazioni obbliganti e vertiginose, così questo è fatto di calcolate smagliature, vuoti a perdere, strapiombi improvvisi, esagitazioni impazzite. E Cecchi con i suoi eccellenti compagni, tutti e tre calibrati strumenti di un quartetto d’archi alla deriva, dà vita a una divertentissima disperazione. I giochi di prestidigitazione falliscono miseramente per l’involontario sabotaggio dell’assistente incapace che ha sostituito il complice esperto e fannullone. Lo spettacolo nello spettacolo è un totale disastro, ma un successo comico strepitoso per un grande attore in grande vena.






Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me
Sik Sik, l’artefice magico

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