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I due gemelli veneziani

di Siro ferrone
  Massimo Dapporto
Data di pubblicazione su web 14/12/2007  

I due gemelli veneziani non sono – a leggerla – una gran commedia, ma il teatro è fatto soprattutto per essere gustato sul palcoscenico e dunque a quello bisogna guardare (prestando a dire il vero anche una certa qual attenzione all’orecchio). L’una e l’altra facoltà vengono moderatamente, ma sicuramente, soddisfatte da questo allestimento di Antonio Calenda, sostenuto da scene ben attrezzate, una recitazione ben orchestrata e un primo attore (Massimo Dapporto) di notevole qualità.

Perché questo il pubblico (e al suo seguito la critica) si aspetta da un copione goldoniano che è appunto geniale per partitura ritmica ma modesto per contenuti psicologici. E il ritmo lo scandisce appunto il protagonista, invitato dal suo autore a dividersi fra due parti (il gemello di campagna e quello di città) per mettere in mostra il suo talento quasi da prestidigitatore. Si tratta di quelle “bravure” che costituirono il nerbo della Commedia dell’Arte e in definitiva di tutto il teatro di ancien régime (il testo di Goldoni lascia trapelare prestiti dal Tartuffe di Molière ma anche dal Don Giovanni). Dunque alla fine è legittimo che il giudizio di valore dello spettacolo dipenda quasi esclusivamente dalla misurazione delle capacità performative di Dapporto e dalla saggezza con cui la regia riesce a servirle disponendo un adeguato dosaggio delle altre presenze.

Dapporto non ha la brillantezza nevrotica e l’andatura briosa dello scomparso Alberto Lionello nella regia capolavoro di Luigi Squarzina (memorabile produzione dello Stabile di Genova, prima rappresentazione nel 1963, ma ripresa per lunghi anni a seguire). E tuttavia Dapporto, con maggiore gravità e anche una più marcata malinconia, pur all’interno del convenzionale ritmo giocoso, riesce a trasmettere un “disagio” drammatico di un certo interesse. La sua comicità è uno spiraglio dentro a una nube di imbrogli, il vuoto felice dentro a una ragnatela di convenzioni mediocri, la sospensione della realtà a vantaggio dell’irreale. Dapporto è un attore del realismo che in questa commedia si concede un’evasione: sarà pagata a duro prezzo da uno dei due gemelli (quello di campagna) nella scena della morte consumata sul palcoscenico in una recitazione che oscilla appunto tra Commedia dell’Arte e dramma borghese.

Intorno a lui la compagnia ben diretta da Calenda, con un sicuro Umberto Bortolani (Pancrazio), un eccellente giovane Arlecchino (Adriano Braidotti), due valide “amorose” (Alessandra Raichi\ Rosaura e Giovanna Centamore\Colombina). E, come si diceva una volta, bene gli altri.




I due gemelli veneziani
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