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I moribondi del palazzo Carignano

di Roberto Fedi
 
Data di pubblicazione su web 10/12/2007  

Ieri pomeriggio, giovedì 6 dicembre, siamo rimasti incollati per un’oretta alla televisione, come non ci accadeva da tempo. Su Rai Due, per l’esattezza. E poi per un po’ su Rai Tre. E che c’era di tanto accattivante?

Beh, che ci crediate o no: c’era la ‘diretta’ dal Senato  per le dichiarazioni di voto relative alla fiducia sul decreto detto ‘sulla sicurezza’ (guardate i giornali se non sapete di che si tratta, please). Era, per così dire, un momento drammatico, perché si decidevano le sorti del Governo: qualcuno potrebbe obiettare che, per il Governo, ogni voto è drammatico, ma lì effettivamente Prodi & C. rischiavano grosso. Ogni italiano dabbene, secondo noi, avrebbe dovuto vedere la ‘diretta’.

Mentre i senatori parlavano, la cosa che ci è venuta in mente subito è quella che abbiamo riportato nel titolo. Che c’entra palazzo Carignano? Era, questo prototipo dei Palazzi italiani del Potere politico, la sede torinese del primo Parlamento italiano. Vi erano, allora, 443 deputati: fra questi, Ferdinando Petruccelli della Gattina, eletto sui banchi della Sinistra. Che era un medico, ma soprattutto giornalista, scrittore, liberale, e perciò esule in mezza Europa, e infine deputato dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Sedendo su quei banchi senza nessun entusiasmo e con molta delusione iniziò a scrivere ‘ritratti’ di vita parlamentare, che pubblicò con quel titolo nel 1862. Parlò, insomma, dei ‘moribondi’: che erano tali perché, secondo lui, avevano tradito i loro ideali, limitandosi a una vita tranquilla e pasciuta nel comodo ma mortifero tran-tran parlamentare.

Vi ricorda qualcosa? Vediamo allora un esempio di prosa petruccelliana: “Voi – si rivolge ai parlamentari – andate ai balli di corte, voi andate alle ricezioni del barone Ricasoli… Voi siete invitati a tutte le feste. Voi viaggiate gratuitamente. Voi non pagate le spese di posta…”. Attuale, quasi profetico. E ancora: “Abbiamo – in Parlamento – 6 balbuzienti, 5 sordi, 3 zoppi, un gobbo, molti con gli occhiali, moltissimi calvi, quasi tutti. Non un sol muto!”.

Dite che allora erano più fortunati di adesso? Vero. Infatti la ‘diretta’ da cui siamo partiti era sensazionale. Camera fissa, da realismo socialista. Nessuna panoramica sull’emiciclo. Che era, le poche volte che s’è visto, semivuoto. I senatori si alzavano in piedi e parlavano a gente che sbadigliava, che usava il cellulare, che chiacchierava, che si faceva visibilmente i fatti suoi, che passeggiava. Nessuno ascoltava. La regìa, per limitare i danni, ‘stringeva’ sull’oratore. Quasi peggio. Questi parlava leggendo foglietti, quasi sempre incapace di rimanere dentro i tempi fissati: a un certo punto, comicamente, vedendo che il tempo scadeva (si accendeva una lucina rossa pulsante) cominciava a correre con le parole,  senza che si capisse quasi nulla, finché il microfono si spengeva e quello rimaneva a boccheggiare come un pesce, muto (il Petruccelli ne sarebbe stato entusiasta).

Oratoria da antologia, spesso dialettale: ecco il “magsiemendamendo”, ecco l’ “eggs” – non le uova in inglese, ma la pronunzia dialettofona di “ex”. Per non dire dello stile, alato. L’emergenza, naturalmente, è “delicata e complessa”. Il confronto, ci mancherebbe, “aperto e costruttivo”. Le convergenze, ci avremmo scommesso, “ampie”. Il dibattito, indovinate un po’?, “difficile, articolato, lungo”. E l’insicurezza? “Serpeggia”, che diamine. Se qualcuno è metaforicamente in alto, è “altilocato” (questa non è male). I princìpi, e qui siamo nell’ermetico, sono “chiamati in essere”. Quasi senza eccezioni, il discorso è diviso in due: all’inizio si afferma solennemente  che non si è d’accordo su quasi nulla; ma poi, che “tuttavia”, “nondimeno”… Roba da equilibristi, roba spericolata.

Stupendo. Corroborante. La nostra fiducia nelle istituzioni si è rafforzata, come si può capire. La trasmissione, rigorosamente oggettiva come si è detto, era esemplare. Si intravedeva ogni tanto Andreotti, che non si è perso una battuta, e che – secondo noi – ormai si pettina, si veste, si atteggia per somigliare più che può alle sue caricature. Si era, ovviamente, a Palazzo Madama, lontanissimo da Torino e dal Palazzo Carignano.

Proprio così lontano?













 
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