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 L'amore delle tre melarance

di Carmelo Alberti
  L'amore delle tre melarance
Data di pubblicazione su web 12/12/2002  
Edoardo Sanguineti ha trasformato L'amore delle tre melarance, la fiaba teatrale che Carlo Gozzi scrisse nel 1761 in forma di canovaccio, in una gustosa, graffiante e irriverente commedia in versi "martelliani". L'allestimento, andato in scena al Goldoni di Venezia e prodotto dallo Stabile del Veneto e dal Teatro di Genova, è diretto da Benno Besson, con la co-regia, le scene e i costumi di Ezio Toffolutti, le maschere e gli effetti speciali di Giorgio Spiller.

La trama è semplice e s'ispira alla tradizione favolistica più illustre, quella de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Tartaglia, figlio del Re di Coppe, è consumato dalla malinconia: inutilmente il padre e il ministro Pantalone si prodigano per salvarlo, consultando i migliori medici e organizzando feste di ogni genere. Contro la guarigione tramano Clarice, Leandro e Brighella, con il sostegno della Fata Morgana; costei si presenta a corte vestita da vecchia ridicola, mentre Truffaldino s'affanna a divertire il principe. Alla vista della megera con le gambe all'aria Tartaglia è colto da una risata incontrollabile: per ripicca la strega lo condanna ad infatuarsi delle tre melarance. Con l'aiuto del mago Celio il giovane riesce ad impadronirsi dei frutti, che schiudendosi rivelano tre belle fanciulle; sopravvive solo Ninetta che, con l'intervento di Smeraldina, Morgana trasforma in una colomba. Alla fine l'inganno è sciolto, gli empi sono puniti, la successione al trono è salva.


Besson e Toffolutti, due artisti abituati ad agire in perfetta sintonia, definiscono un'ambientazione epica, che rende esplicito l'artificio scenico, utilizzando una scenografia povera e allusiva. All'inizio, ad esempio, il palcoscenico mostra uno scorcio lagunare coperto dalle "scoasse"; dal di sotto esplode il delirio ipocondriaco di figure che recano sul volto maschere neutre e, insieme, grottesche. Si alza e si abbassa un teatrino di cartapesta che agisce come una scatola magica, sputando fuori i singoli protagonisti, sviluppando la vicenda su un ritmo sostenuto, giocando sull'ambiguità del teatro, straripando oltre la ribalta e chiamando in causa gli stessi spettatori.

Colpisce l'efficacia della recitazione di una splendida squadra di attori, sollecitati da Besson a pronunciare una sequela ininterrotta di parole sul ritmo del doppio settenario, come se fosse un deliquio vacuo, eppure amaro, perché rivela le miserie umane, le dabbenaggini, gli intrighi, le ambizioni, le crudeltà di ogni tipo. Lello Arena dà prova della sua abilità recitativa nei panni di Tartaglia, modulandolo su toni fanciulleschi; Paolo Serra è un gustosissimo Re, che duetta alla perfezione con Piergiorgio Fasolo, un convincente Pantalone. Gianni Calò è un agile Truffaldino; Orietta Notari è apprezzabile nei panni di Morgana. Convincenti sono Daniela Giordano (Clarice), Roberto Serpi (Leandro), Adriano Iuressevich (Brighella), Nunzia Greco (Ninetta), Mariangela Torres (Smeraldina), le melarance Alicia Toffolutti e Lia Zinno, Marco Avogadro (Farfarello).

L'amore delle tre melarance
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