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Una disciplina continuamente interrotta 

di Siro Ferrone
  Ritratti, di Remondi e Caporossi
Data di pubblicazione su web 09/12/2003  
Spettacolo impeccabile, ma non solo. Alcuni racconti (anzi alcuni brandelli di racconti) di Pirandello fanno da pretesto per una drammaturgia e una regia a tratti anche emozionanti. Senza raggiungere il livello di passati capolavori il Club Teatro Rem & Cap ci offre un'opera di alto livello.

All'inizio dell'azione lo spazio è occupato, su un angolo, da un mucchio di vesti e un paio di scarpe, da tempo il simbolo del teatro di Rem & Cap. Poi le luci disegnano rettangoli sul fondo nero del palcoscenico, accompagnate dalla lettura di alcune didascalie (nature morte sopra, sotto e vicino ad un tavolo). Subentrano gli attori. Il regista Riccardo Caporossi in abito nero e borsalino, l'attore e antico compagno d'arte Claudio Remondi, anche lui in abito nero e borsalino. Ma il secondo – come è sempre successo in passato e nel corso di una lunga carriera - pare messo lì per disturbare e scompaginare l'ordine del primo: ruba gli oggetti, smonta il piano del tavolo, tradisce il copione e inganna la regia. Quando poi, ai trequarti dello spettacolo, Claudio improvvisamente viene in proscenio a dire uno strepitoso monologo sulle sue disavventure infantili nel buio di San Pietro e sulla scoperta del teatro della vita (assai più affascinante del teatro della professione), proprio mentre Caporossi gioca compostamente - come sua abitudine - un sintetico solitario, allora il gioco svela la sua natura.

Quella scena vale dieci, cento, mille, centomila pirandellismi. Squarcia il formalismo di ogni azione programmata dal testo o dalla regia e ci mostra, nel vivo della materia, come la realtà vinca il sogno, come il contenuto sconfigga la forma. Ironicamente, con suprema grazia, Riccardo Caporossi accetta di mettere in crisi il suo mosaico perfetto di regista e dramaturg. E' lui stesso a esporre la sua opera al sabotaggio del compagno irrequieto. L'organizzazione geometrica dello spazio, le invenzioni coloristiche e illuminotecniche (il nastro rosso di un tappeto, le linee fulgide dei riflettori, le macchie nere dei costumi), la partitura di due memorabili sequenze di musica concreta e le relative coreografie, la calibrata esecuzione di gesti e monologhi "da Pirandello", sono bravure (prove d'artista) che traducono in corpi, volumi e ritmi l'autorità dell'insopportabile stile del professore di Agrigento; la scrittura scenica di Caporossi è perfetta, rispetta i ruoli con una bravura degna del Maestro, gli attori vi si adeguano con perizia esemplare.

Il copione è di ferro, e pare di piena soddisfazione, se non fosse, appunto, per quel disordinato, fulmineo, irrompere della vita nel chiostro conventuale del palcoscenico.
La rivincita degli attori si consuma anche al di là della insubordinazione di Claudio Remondi. In altri frammenti questi ritratti tendono a deformarsi sotto la spinta di irrazionali bisogni di libertà. Insubordinazioni continue minacciano il decoro (il décor), l'autorità dell'autore, la distribuzione delle parti (un imputato diventa giudice e viceversa): smarrimenti sono improvvisamente possibili ad ogni cambio di scena, la perdita dell'orientamento capovolge il mondo degli oggetti, proprio quando la disciplina formale sembra prevalere in maniera definitiva. Nella rappresentazione di questa disciplina continuamente tradita, brillante risulta la prova degli altri cinque attori che affiancano Remondi e Caporossi in un concertato che richiede doti non comuni di dizione, gestualità e ritmo. Se in Italia il teatro non fosse un mercato al soldo dell'occupante di turno questo tipo di teatro meriterebbe il titolo di "tesoro nazionale vivente".



Ritratti
cast cast & credits
 


Ritratti, di Remondi e Caporossi































 





 
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