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Hey girl!

di Emanuela Agostini
 
Data di pubblicazione su web 15/05/2007  

Alla fine dello "spettacolo" (che almeno nella cornice fiorentina di Fabbrica Europa 2007 ha saputo guadagnarsi ripetuti e calorosi applausi) non c'è uno spettatore che "ha capito" la stessa cosa di un altro. Hey girl!, recente fatica della Socìetas Raffaello Sanzio, presenta un succedersi e intrecciarsi di visioni impossibili a descriversi in termini oggettivi perché l'attribuzione di un nome implicherebbe l'assegnazione di identità mai svelate nel corso della rappresentazione. «Io odio i simboli» afferma la "protagonista"; tutto quanto può essere preso per indizio di un qualche significato (persino l'odore -previsto?- sprigionato dalla stoffa bruciata) e al tempo stesso su tutto aleggia lo spettro dell'assenza di senso. Il successo e il limite del "gioco" del gruppo di Cesena, ormai pienamente affermato anche al di fuori dei confini nazionali (come testimonia tra l'altro l'elenco dei produttori dello spettacolo), è forse soprattutto questo: "voltando le spalle" allo spettatore lo costringe a interrogarsi, a misurarsi con la propria percezione. 

Premesso questo, un filo rosso alle apparizioni manifestatisi sulla scena c'è, e a indicarlo è proprio Romeo Castellucci che parla di un ritratto di un cuore umano e spiega che l'ispirazione del titolo dello spettacolo «è venuta nella mia città quando, bloccato ad un incrocio, guardavo un gruppo di ragazze che aspettavano alla fermata del bus. Avevano gli zaini pieni e il volto dipinto dal trucco. Ciascuna aspettava il proprio bus. Tutto quello spazio intorno. Non parlavano tra loro. Non si guardavano». 

Il lavoro di Castellucci nasce da questa immagine e si dirige verso l'interiorità umana che, messa a nudo, svela tutta la sua solitudine. Nella ricerca di un esatto connubio tra contenuto e forma (o forse di contenuti senza forma?), lo spettacolo non conduce una riflessione su questo stato, ma ne fa la sua stessa materia, attraverso gesti e azioni sceniche, svuotate di significato, ogni volta nuove e ogni volta senza conseguenze.

Sulla scena Silvia Costa, una ragazza fuoriuscita già cresciuta da una placenta vischiosa, e Sonia Beltran Napoles (suo alter-ego ma anche suo complemento), circondate da un universo maschile minaccioso e violento, si muovono in una dimensione onirica in cui parole, silenzi, respiri, affanni hanno lo stesso valore di un raggio laser, di una finestra che è uno specchio, del rompersi di vetri.

La capacità di generare potenti visioni, uno dei caratteri peculiare di questo gruppo, è qui applicata nella rarefazione dei pochi curatissimi elementi scenografici centellinati nello spazio. Specialmente nella prima parte dello spettacolo si ha come l'impressione che la ragazza stia galleggiando nel niente, si trovi in un non-luogo. Determinante per l'efficacia di queste apparizioni è il disegno luci di Giacomo Gorini mentre la colonna sonora di Scott Gibbons è un fondamentale contributo al coinvolgimento dello spettatore.





Hey girl!
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