Sono sempre graditi ritorni quelli che ormai da anni costituiscono i fiori allocchiello della stagione di danza al Valli di Reggio Emilia. Un Teatro che puntualmente rinnova il sodalizio con una rosa di agguerriti sessantenni, Jirì Kylián, Willima Forsythe, Mats Ek, John Neumeier, ancora in grado di stupire per la modernità dellindirizzo creativo e la capacità di sfuggire alle tentacolari maglie del déjà vu.
Ecco dunque ritornare nel capoluogo emiliano il praghese Kylián che, dopo la partecipazione al Gala dei Ritorni di gennaio, è di nuovo ospite con il Nederlands Dans Theater I per proporre un trittico dautore in cui due sue creazioni, Wings of wax e Tar and feathers, questultima in prima nazionale, affiancano il debutto italiano di Speak for yourself. Un lavoro di Paul Lightfoot e Sol Léon, già ballerini del Nederlands Dans Theater I e ora apprezzati coreografi residenti.
Come da copione lapplaudito spettacolo ha riconfermato lalto livello tecnico-interpretativo della formazione olandese, dal 1999 diretta da Anders Hellstrom, presentato due pezzi forti di Jirì, oggi coreografo free lance, e mostrato i frutti della lezione ‘kyliana nellapprezzato contributo della coppia Lightfoot/Léon.
Costruito sull”Arte della fuga” di Bach, Speak for yourself è un balletto in cui la partitura coreografica duetta con quella musicale basandosi sulla geometricità delle linee classiche e soffermandosi sul tema esistenziale dellamata e odiata solitudine.
Un danzatore di schiena apre e chiude la creazione interpretando due poderosi assoli che si avvalgono, il primo, della trovata scenica di una scia di fumo che avvolge il corpo del protagonista, il secondo delleffetto bagnato di una pioggia che inonda palcoscenico e interpreti.
Allinterno di questi due momenti solipsistici sei uomini e tre donne costruiscono pezzi corali maschili, terzetti al femminile, duetti, in cui torna prepotentemente in primo piano il viluppo di corpi che esprime, come insegna Kylián, il complicato gioco dei rapporti umani.
Jirì Kylián
Speak for yourself di Paul e Sol, entrambi allievi del maestro céco, resta impresso soprattutto per il sentimento di catarsi connesso allacqua che inonda i danzatori, costretti a ballare completamente bagnati su un terreno insidioso. Ardui e acrobatici diventano i passaggi che, richiamando allusivamente la difficoltà di creare legami stabili e duraturi, accentuano il cimento nellimpatto tra classici arabesques, attitudes, pirouettes, e sequenze contemporanee, senza mai perdere la tensione ‘kyliana verso unideale concinnitas e una reale venustas.
Armonia e bellezza sono infatti le parole-chiave della poetica di Kylián che ricorda Balanchine per il nitore compositivo e il minimalismo non convenzionale del décor. Ma in Jirì lastrattismo e lasciuttezza emotiva del neoclassicismo di “Mister B” si riempiono di profondo lirismo e danno ‘voce alla complessità dellanimo umano.
E proprio la complessità dellanimo umano e la caducità delle aspirazioni sono al centro di Wings of wax, un lavoro del 1997 ispirato al dipinto di Brueghel “Paesaggio con la caduta di Icaro”.
Su una partitura “farcita” che spazia dalla musica barocca di von Biber a quella contemporanea di John Cage e Philip Glass per tornare allamato Bach, lartista praghese crea un balletto in cui una luce, perlustrando continuamente lo spazio, sembra illuminare i recessi più segreti dellanima, mentre un enorme albero spoglio capovolto allude al tragico volo di Icaro e si pone come memento dei velleitari desideri mondani.
Ali di cera nella prima parte privilegia laspetto lirico con passi a due e ensemble, mentre nella seconda si fa più fluido e maschio, ma in entrambe il metteur en danse crea dei raffinati “elzeviri” danzati consentendo alle “emotions in motion” (emozioni in movimento) di prendere corpo in tre coppie e di svilupparsi in assoli, duetti e terzetti.
Autentico “elzevirista” della pagina coreutica, in Wings of wax Kilyàn ‘scrive il suo pezzo consentendo agli accademici manèges e jetés di ‘dialogare con prese, lifts, launchs, contemporanei, per poi confonderli in grovigli di braccia, teste, gambe, alla costante ricerca dellarmonia e della bellezza di corpi in movimento vestiti di scuro da Joke Visser e accarezzati dalle luci di Michael Simon.
Di tuttaltro genere è Tar and feathers che riflette la voglia di Kylìan di tentare con coraggio nuove strade. La creazione nel titolo prende spunto da unantica pratica punitiva anglosassone che metteva alla berlina i disobbedienti, impeciandoli e ricoprendoli di piume. Una consuetudine allusivamente richiamata dalle candide e vaporose gonne lunghe indossate dai ballerini e ideate da Visser.
La pièce, accompagnata dal Concerto per pianoforte e orchestra n.9 K271 di Mozart, si arricchisce man mano delle ardue sonorità di Dirk Haubrich e delle improvvisazioni di Tomoko Mukayama, che si esibisce al pianoforte a coda posizionato a oltre due metri daltezza. Non solo ma lo stesso Kylián è presente riservandosi lonore di pronunciare “brandelli” dellultima poesia di Samuel Beckett “What is the word” in un complessità di imput di non sempre facile lettura e comprensione.
Quella che invece è chiara è latmosfera sospesa e rarefatta, a tratti onirica, che costituisce il tratto distintivo di Tar and feathers di cui il dancemaker cura la scenografia, lasciando a Miikki Kunttu il disegno delle luci perlate.
Nel balletto sono riconoscibili gli stilemi ‘kyliani nel numero esiguo dei protagonisti, tre coppie in nero, nei legati classicheggianti eppure visibilmente contemporanei nelle piazzate posizioni à la seconde, nelle improvvise torsioni dei busti. Morbidi eppure forti, i corpi con estrema facilità si flettono, si attorcigliano, si riallungano, in una spirale di movimento a cui fanno eco gesti, espressioni, atteggiamenti quotidiani. Tutti elementi di una danza “comportamentale” che, allinsegna della concordia discors, diventa lemblema di un esperimento che sonda la fragilità dellessere umano e ricorre alla bellezza come antidoto contro il male e medicamentum animi.
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