Un campo lunghissimo mostra una piccola costruzione persa in un ambiente desertico, dalle proporzioni vastissime. Poi linquadratura si restringe sempre più, fino a mostrare che la costruzione è un motel, lungo e stretto. Inizia così Bug di William Friedkin, uno dei più importanti registi americani degli ultimi trentanni.
Lo sguardo della macchina da presa entra poi nella quotidianità di unabitante di una stanza del motel: è Agnes (Ashely Judd), una donna sola che ha perso il figlio molti anni prima, che si è separata dallex-marito e che coltiva una relazione omosessuale con la cameriera di un locale limitrofo. Nella vita di Agnes entra presto Peter (Michael Shannon), un giovane timido e riservato che Agnes accoglie nella speranza di aver trovato un nuovo compagno di vita; ma i segreti e il mistero che luomo porta con sé sconvolgeranno la sua esistenza.
Bug inizia come un saggio di cinema psicologico e finisce con un crescendo allucinato che sposta il tema della pellicola a una visione fanta-politica degna di Philiph Dick. Se nella prima parte si assiste alla nascita di una storia damore (allincontro di due solitudini) tormentata tra due esseri umani che sembrano non poter fare a meno di cercarsi, nella seconda parte Friedkin fa virare il tono del film verso contenuti paranoici, innestando un vortice delirante che trascina con sé ogni cosa, impedendo di rintracciare coordinate chiare e percepibili. Peter rivela ad Agnes la presenza nelle stanze di insetti, risultato dellinserimento di sacche di uova nel suo corpo da parte della CIA allepoca della guerra del Golfo, come sistema di difesa di fronte a minacce batteriologiche. La donna, inizialmente titubante (poiché non vede gli insetti), poco per volta inizia a dare credito alle parole delluomo, condividendo con lui lidea che entrambi siano al centro di una macchinazione internazionale. Fantomatici elicotteri solcano il cielo sopra il motel, e dopo aver isolato la stanza per proteggerla dagli insetti, ai due amanti non resta che darsi la morte con un enorme rogo che spazzi via ogni residua traccia del male che portano con sé.
Friedkin lascia intatto fino alla fine linterrogativo se le visioni di Peter siano vere o il risultato di manie di persecuzione. Un interrogativo alimentato dal senso di claustrofobia e oppressione che la scelta di girare in un solo ambiente (linterno squallido e disadorno di un motel di infima categoria, metafora dellinteriorità mentale che il vero locus del film) contribuisce a creare, con lintento evidente di generare angoscia sociale. La prima parte si dipana in maniera piuttosto ordinaria, senza eccessivi sussulti, mentre la seconda è un concentrato a tratti insostenibile di illazioni sulleventualità che i due protagonisti siano al centro di un enorme complotto teso a istaurare un rinnovato ordine mondiale. Gli insetti, da cui il titolo del film, diventano così il punto di partenza su cui instaurare un discorso di più ampia portata sulle implicazioni sociologiche del conflitto iracheno, che dalla mente delluomo deflagrano verso lesterno influenzando la mente e la vita della sua compagna.
Tentativo apprezzabile, certo, che però naufraga proprio nel momento in cui cerca di elevarsi al piano superiore di cui vorrebbe farsi convincente rappresentazione. Se la prima parte, infatti, Bug colpisce per il verosimile realismo con il quale Friedkin riesce a mostrare la penosa vita di una donna che nella vita ha perso ormai tutto, disposta a dare fiducia a uno sconosciuto che pare confrontarsi con le sue stesse preoccupazioni, la seconda parte insiste eccessivamente sugli aspetti più esacerbati dellossessione di Peter (poi condivisa anche da Agnes), risultando alla fine difficilmente sostenibile. Limpressione è che Friedkin abbia cercato di condensare in un unico film gran parte dei temi principali della sua opera (tra cui la violenza e lidea della purificazione, già in Lesorcista, di cui non a caso Bug è stata definita una versione laica), ma con il risultato non certo efficace di confonderli tra loro senza trovare il giusto amalgama.
Spiazzante e inutilmente artificiosa la parossistica scena finale, nella quale lindubbio talento recitativo della coppia di attori viene messo al servizio di un presunto pathos emozionale, insufficiente però a chiudere organicamente una storia che sembra schizzare via in molteplici direzioni senza trovare mai la direzione giusta verso una conclusione accettabile. Un film certamente ambizioso, incapace però di convogliare le tante sollecitazioni proposte e vittima del tentativo di codificare unemergenza cospirativa, perdendosi nei meandri della mente stessa che aveva cercato di interpretare.
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