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Nel ghetto trans di Jennifer

di Albarosa Camaldo
  Arturo Cirillo
Data di pubblicazione su web 24/11/2006  

In un ipotetico quartiere ghetto per travestiti, in una non ben definita zona di Napoli, dove i telefoni  collegano misteriosamente persone che non si sono chiamate tra loro, si svolgono le giornate di Jennifer, un trans che vive nella sua stanza ascoltando la radio e aspettando il ritorno del fidanzato Franco. Il testo, composto e interpretato dal suo autore Annibale Ruccello negli anni Ottanta, trova un felice esito nell'interpretazione e regia di Cirillo, enfant prodige del teatro partenopeo che ritorna all'autore napoletano dopo essersi cimentato in Mamma nel 1991 con la regia di Pier Paolo Sepe e anche nella regia in L'ereditiera nel 2003.

Arturo Cirillo
Arturo Cirillo


Straordinario è Arturo Cirillo nel costruire la solitudine e l'ansia in cui vive Jennifer: non può stare a lungo al telefono perché Franco potrebbe telefonare da un momento all'altro, anche se sono tre mesi che non si fa vivo dopo un incontro occasionale, bacia continuamente una cornice che dovrebbe contenere il suo ritratto, ma che si scopre essere vuota. Tratteggia il suo personaggio alternando toni drammatici a toni ironici, riuscendoci abilmente grazie alla sua recitazione a tratti stralunata. Mostra, inoltre, una mimica perfetta quando si immedesima cantando con pathos le canzoni trasmesse dalla radio e che costituiscono la colonna sonora dello spettacolo e spaziano da Patty Pravo, a Mina, a Romina Power. Sempre attraverso la radio irrompe nella stanza la vicenda di un killer di cui si raccontano misteriosi omicidi di omosessuali nel quartiere, realizzati lasciando cinque rose rosse sul cadavere e chiudendo la porta dall'interno, così da renderne improbabile la vera esistenza. Appare in scena anche Anna, un altro travestito, interpretato stavolta da una donna, la bravissima Monica Piseddu che viene a casa di Jennifer per aspettare una telefonata, che da tre mesi non arriva, in risposta ad  un'inserzione matrimoniale. I due personaggi si confidano fino ad arrivare a essere l'uno la copia dell'altra, quando Anna riappare in scena con il vestito che aveva prima Jennifer, così da aggiungere un'ulteriore incertezza nell'individuare le identità sessuali. La Piseddu mostra la sua versatilità nel passare dalla prima  scena, in cui appare dimessa e timida, quasi vittima della crudeltà degli uomini, alla sua seconda apparizione in cui diviene aggressiva e grintosa, quasi carnefice quando tenta di uccidere Jennifer, armata di un coltello. Così i due personaggi non riescono a essere solidali fra loro e sprecano l'occasione di vincere la loro solitudine.  Le cinque rose di Jennifer, infatti, mostra che si può morire di solitudine e si conclude con un probabile suicidio che non importa capire se è reale o meno, ma che è l'unico modo per concludere una drammatica esistenza.

La regia di Cirillo è sobria e non calca la mano sulla caratterizzazione dei personaggi che appaiono ben delineati e veri, senza scadere nel farsesco.




Le cinque rose di Jennifer
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