Ugo Chiti riadatta liberamente Amleto e ne trae due atti unici indipendenti e per certi versi complementari (una “tragedia in farsa” e una “farsa in tragedia”), ‘traducendo linglese di Shakespeare nella lingua tipica della sua drammaturgia, il toscano ‘rustico.
La prima pièce mette in scena il conflitto tra Amleto e gli assassini del re di Danimarca, ma anche il rimorso dei due colpevoli e langoscia del principe costretto a vendicare il padre. Molto intenso il confronto tra Amleto e Gertrude, grazie alla buona interpretazione di Maurizio Lombardi (che restituisce le diverse sfumature del personaggio senza forzare eccessivamente la rappresentazione della follia simulata, conferendole anzi un tocco di disperata poesia), in cui lefficace riscrittura di Chiti accentua la violenza del testo originale grazie alluso, mai banale, di un linguaggio basso e a tratti volgare. Claudio e Gertrude (Dimitri Frosali e Giuliana Colzi), spiati dal pubblico nellintimità della camera da letto, sono ricondotti ad una dimensione popolare, contadina, con la regina che dopo latto sessuale cerca conforto dai sensi di colpa nella recita del rosario. La terribile apparizione finale del fantasma del padre, un imponente e minaccioso Massimo Salvianti, sembra quasi unallucinazione di Amleto, una materializzazione dei suoi incubi e delle sue insicurezze.
Il pubblico assiste a questa prima parte dello spettacolo dal palcoscenico, mentre lazione si svolge nella platea e nei palchi (Chiti aveva già utilizzato questo ribaltamento del Teatro Niccolini in A proposito di Spoon River); nella seconda parte gli spettatori sono invitati a prendere posto nei palchi e osservano dallalto gli attori che continuano ad occupare la platea ma che si riappropriano anche del loro spazio naturale, il palcoscenico.
Il secondo atto, forse più interessante nella sua minore fedeltà a Shakespeare, è una divertente farsa che racconta la tragedia dal punto di vista di Polonio e dei suoi figli. La povertà della scenografia e degli accessori contribuisce a creare unatmosfera surreale, e in certi momenti sembra di assistere a una parodia di Amleto ad opera di una sgangherata (ma ottima) compagnia di guitti di fine Ottocento, con la trama ridotta quasi a pretesto per una serie di gags e per lesibizione di pura arte attorica da parte degli artisti in scena, tutti in gran forma ma su cui svettano una brillante Lucia Socci (Ofelia) e Salvianti, eccellente nei panni del ciambellano, soprattutto nelle esilaranti controscene durante un riuscitissimo ‘duetto con Ofelia.
Con Amleto Moleskine, che ci auguriamo di rivedere in tournée la prossima stagione, Arca Azzurra conferma i suoi maggiori punti di forza: la regia e i testi di un autore di talento, la presenza di alcuni attori di grande spessore e un invidiabile affiatamento tra tutti i membri della compagnia.
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