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Preso dal panico

di Roberto Fedi
  Gianni Morandi
Data di pubblicazione su web 30/09/2006  
Gianni Morandi non è, di per sé, antipatico. Quindi ci dispiace trattarlo male, davvero. Ma qualcosa bisogna pur dire, del suo programma che ha esordito su Rai Uno giovedì scorso, e che ha un titolo che ci va benissimo, se inteso come un’esortazione ai suoi spettatori: Non fatevi prendere dal panico (sarebbe ‘facciamoci’, ma appunto l’abbiamo rielaborato ad uso dei poveri utenti).

Anche per lui, come per la Parietti, tempus fugit. Anche per noi, naturalmente. Ma noi non facciamo finta di essere dei ragazzini – credeteci sulla parola. Né ci siamo rifatti le labbrone, o qualcos’altro. Prendiamo Morandi. Quando la ‘camera’ lo inquadra in campo lungo, è perfetto. Completo scuro, camicia bianca di prammatica, niente cravatta. Si muove come quando aveva vent’anni, sgraziato ma efficace. Canta quasi con la stessa voce. Un miracolo?

No, un effetto-luce. Perché quando arriva lo zoom (maledetto!) ecco la realtà. Un uomo di sessant’anni, all’incirca, e neanche portati tanto bene. Voi direte: che c’è di male ad avere sessant’anni? Niente, anzi. Purché non si voglia sembrare dei ventenni. Qui sta il dramma morandiano.

Che, in mancanza di meglio, da fare si dà: su questo non ci piove. Ma soprattutto si lascia prendere, proprio per cercare di essere meno ‘ragazzo’, dal panico, e dal complesso di Celentano. Che, quando ha capito che non poteva più rockeggiare impunemente, ha cominciato a fare le prediche in Tv. Roba da voltastomaco, a dirla tutta. Morandi non è Celentano (è un merito), ma anche lui deve aver pensato: se lo fa quel balbettante di Adriano, perché io no? Oltre tutto, so di sicuro parlare meglio (è vero).

Così ci siamo dovuti sorbire una predica addirittura su Pasolini. Il perché, non si è capito. Neanche fosse un anniversario. Morandi che discetta di Pasolini è una roba così kitsch che valeva la pena guardarla e sentirla. Primo piano, rughe (ahimè) bene in vista, faccia contrita come quando canta una canzone meno sbarazzina, ecco il Morandi-pensiero. In sintesi: Pasolini mi manca. Mi manca tanto. Anzi tantissimo. Ma proprio tanto. Sapeste come mi manca. Nessuno mi manca come lui. Non so farne a meno. Dio come mi manca. È una mancanza enorme. Mi manca da morire. Così per dieci minuti.

Uno si chiede: d’accordo, gli manca. Ne siamo sicuri. Si può anche capire. Ma, di grazia: ci dica anche perché. Non è mica il ritornello di una canzonetta. Ecco: perché giocavo qualche volta al pallone con lui. Lui portava il numero 10, come Totti. Dio come mi manca. Mi manca da morire.

Ah, dimenticavamo: gli manca anche Oriana Fallaci, tanto per essere politicamente corretti. Una volta siamo andati (continua il ventenne di sessant’anni) insieme a New York, tutti e tre (a farci cosa? boh). Dio come mi mancano. Ma tanto.

Per favore, signor Morandi: canti. Si faccia inquadrare in campo lungo, se crede. Lasci perdere il resto. Non cerchi di essere, dati i tempi, troppo politically correct, un colpo al cerchio e uno alla botte. Non è mica il presidente Napolitano.

Anzi, già che ci siamo: state un po’ zitti tutt’e due.

PS. Oltretutto, la pensosità morandesca non paga: 21 e 68 di share. Quattro milioni e 896mila spettatori. «Ci aspettiamo un risultato intorno al venticinque», aveva detto il direttore di Raiuno, Del Noce, che per precauzione e scaramanzia si era mantenuto sotto la media di rete, che è del ventisei. Mi manca lo share, Dio come mi manca.





 
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