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Il ''dramma timbrico'' di Madame Cio-Cio-San

di Giovanni Fornaro
  Madama Butterfly, foto Visual Art Parenzan
Data di pubblicazione su web 04/05/2006  

La chiusura della stagione lirica della Fondazione Petruzzelli di Bari è una produzione musicale affidata ancora una volta agli orientalismi, stavolta della pucciniana Madame Butterfly, proseguendo idealmente il discorso sulla musica ottomana del precedente appuntamento (mozartiano) Die Entführung aus dem Serail.

Il rapporto Oriente-Occidente è però, nell'opera di Puccini, come scavalcato (ma non annullato) da una doppia chiave: di genere - qui è una donna la protagonista - e psicologica - la sofferenza interiore che porta alla catarsi negativa finale, il suicidio. Intendo dire che, sebbene la filologia musicale ci dia conto di un'importante prima stesura - rappresentata alla Scala in un'unica messinscena il 17 febbraio 1904 - di cui lo scontro tra civiltà costituisce il tema principale, nella successiva versione ''francese'' del 1906, oggi comunemente rappresentata, assume invece preminenza l'elemento personale, privato.

È una Cio-Cio-San, quella dell'allestimento del Teatro Vittorio Emanuele di Messina, rappresentato a Bari dal 19 aprile, che si configura quale indiscussa protagonista, una mater dolorosa - oltre che amante e moglie del superficiale tenente americano Pinkerton - interpretata con notevolissimi effetti tragici, con voce potentemente espressiva (ma dalle necessarie sfumature dolenti), da una delle maggiori interpreti del ruolo, il soprano Fiorenza Cedolins. La cantante riesce a portare lo spettatore ad una vera ''con-passione'' per un personaggio che oggi, riletto da chi, come il pubblico europeo, appartiene ad un contesto temporale e culturale differente da quello del Giappone della fine del XIX secolo (quando furono scritti il racconto di John Luther Long e la pièce teatrale di David Belasco da cui Illica e Giacosa trassero Madama Butterfly), appare francamente anacronistico nella sua illusione d'amore estremizzata contro ogni logica (attuale).

''Madama Butterfly'', foto Visual Art Parenzan
Madama Butterfly, foto Visual Art Parenzan


La musica di Puccini segue, com'è noto, un flusso sonoro quasi ininterrotto che però non comprime arie fra le più appassionate e apprezzate del repertorio operistico italiano, come quella di Cio-Cio-San del secondo atto (''Un bel dì vedremo''), il duetto del primo atto (''Scuoti quella fronda di ciliegio'') e il bellissimo coro a bocca chiusa che divide II e III atto.

Quest'ultimo nacque probabilmente da suggestioni esclusivamente teatrali, a seguito della visione, da parte del compositore, dell'atto unico di Belasco che presentava un innovativo quarto d'ora di muta veglia notturna.

Puccini effettuò ricerche approfondite sulle caratteristiche e i modi della musica giapponese, derivandone una partitura in cui l'elemento esotico non appare posticcio o artefatto ma organicamente incardinato: vi sono presenti sette profili melodici originali, fra i quali l'inno imperiale dal tempo di marcia, e svariati frammenti ''ispirati'' all'Oriente.

Questo eclettismo musicale trova espressione ''muscolare'' nella direzione di Daniel Oren, che aveva tra l'altro già guidato l'orchestra in Madama Butterfly a Bari nel 1983. Attraverso una direzione tesissima e intensa, Oren esalta le caratteristiche timbriche dell'Orchestra della Provincia di Bari, che sembra versata, di massima, più per il repertorio novecentesco che per quello precedente, a giudicare dalle ultime esperienze per la Fondazione Petruzzelli (Ratto, The Flood di Stravinskij e L'Enfant et les sortileges di Ravel, Werther di Massenet, Le nozze di Figaro di Mozart).

''Madama Butterfly'', foto Visual Art Parenzan
Madama Butterfly, foto Visual Art Parenzan


In contravvenzione con una prassi recente, che vede assegnare la parte della protagonista femminile a soprani orientali, in questo caso è il ruolo di Pinkerton a essere ricoperto dal tenore coreano Francesco Hong, del quale si deve dire che unisce ad un effetto straniante - dovuto al fatto che egli non rappresenta il fenotipo dell'ufficiale statunitense imperialista - una voce stentorea e dal bel timbro, perfetta soprattutto nei bellissimi duetti con la Cedolins.

Il cast vocale era uno dei punti di rilievo di questa Butterfly, anche al di la dei protagonisti principali, di cui si è già riferito: Gabriele Viviani (Sharpless), Angelo Casertano (un perfetto Goro), Nicola Sette (il Principe Yamadori), Carlo Striuli (lo zio Bonzo), Antonio Muserra (il Commissario Imperiale), Vincenzo Damiani  (l'Ufficiale del Registro). Una menzione particolare va riservata all'interprete del personaggio di Suzuki che, nella prima recita, ha sostituito Nicoletta Curiel, lo straordinario mezzosoprano Francesca Franci i cui accenti tragici, mai sopra le righe, contribuiscono non poco a marcare carattere e mutazioni psicopatologiche della protagonista.

E veniamo alla regia, last but not least, dello ''sperimentale'' Federico Tiezzi, il quale sceglie di imporre sulle scene, molto ben curate da Pier Paolo Bisleri, un ripartizione geometrica tridimensionale degli spazi, mediante enormi scatole lignee che rappresentano di volta in volta i diversi ambienti, in progressiva espansione con il procedere della vicenda, fino a dissolversi per identificarsi nell'intero palcoscenico. In corrispondenza con le strutture a tre dimensioni, Tiezzi assegna un particolare significato alla bidimensionalità dei tatami, i tappeti imbottiti giapponesi, anch'essi sempre più grandi man mano che il dramma si compie: un unico, grande tatami si solleva nel tragico seppuku finale, imprigionando (e mostrandoci) Cio-Cio-San che, come scrive lo stesso registra nelle note del libretto di sala, ''ci appare corpo di insetto-farfalla, infilzato, spezzato''.

''Madama Butterfly'', foto Visual Art Parenzan
Madama Butterfly, foto Visual Art Parenzan


Fondali policromi, secondo il gusto orientale, incombono sugli attori e cantanti assumendo valenza simbolica, come, ad esempio, per l'enorme giardino del secondo atto, per le bandiere americana e giapponese accostate, o per il singolare planisfero su cui il figlio di Cio-Cio-San e Pinkerton - interpretato con dolente innocenza ed efficacia dalla piccola Adriana Inverardi - segue idealmente la rotta del piroscafo che riporta il padre nuovamente a Nagasaki con la sua moglie americana.

Una funzione essenziale, nell'estetica tiezziana di questa Butterfly, ricoprono i servi di scena, vestiti di nero come ninja dagli inquietanti volti velati, che con movimenti plastici porgono e prelevano oggetti, implicitamente guidando sugli stessi l'attenzione del pubblico. Essi sono compartecipi di una delle più toccanti idee registiche dello spettacolo, il duetto della fine del primo atto fra i due neo-sposi, la cui limpida leggerezza vocale ha un corrispondente scenico in alcune fiammelle, poste all'estremità di lunghe aste di canna portate dai mimi, le quali si avvicinano fra di loro - quasi a simboleggiare l'unione, purtroppo effimera, fra gli spiriti e i corpi dei protagonisti - e si abbassano sulla scena fino al pavimento, estremo elemento visibile al pubblico, mentre le ultime note dell'aria si perdono nello spazio teatrale e un sipario, corrispondentemente, scende con lentezza dall'alto, protettivo.

Il coro l'Opera, sempre adeguato, è stato preparato da Elio Orciuolo, i bei costumi realizzati da Giovanna Buzzi, luci di Giuseppe Ruggiero.



Madama Butterfly
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, musica di Giacomo Puccini


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