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Cenerentola hollywoodiana

di Gabriella Gori
  Cenerentola (foto Marco Brescia)
Data di pubblicazione su web 26/04/2006  

E' dolce amara la Cenerentola di Rudolf Nureyev perché il grande Rudy ha smascherato l'illusorietà di questa fiaba ambientando la storia di Cinderella nella Hollywood degli anni Trenta. La Mecca del cinema che, proprio per la sua natura, cinicamente ricorda che i sogni sono frutto di puro artificium.  

E questa amaritudo riempie un balletto che, a distanza di venti anni dalla prima apparizione parigina con il Ballet de l'Opéra, diretto all'epoca da Nureyev, riesce ancora ad emozionare e a dare della ''fabbrica dei sogni'' un'immagine riconoscibile e soprattutto attuale. Un mondo molto amato dal coreografo e ballerino russo ma guardato con ironico distacco, nel consapevole disincanto di chi avverte la transitorietà delle cose e sente la necessità di fermarla nel fotogramma di un'ipotetica  pellicola cinematografica. Quella stessa pellicola che suggella il lieto fine della vicenda e suscita ogni volta calorosi applausi come è accaduto al Teatro della Scala di Milano per la ripresa della Cenerentola 'nureyeviana' con Marta Romagna, Robert Tewsley e il Corpo di ballo scaligero.  

Non nuovo a personali rivisitazioni di capolavori del repertorio ballettistico Otto-Novecentesco, La Bayadère (1963; 1992), Raymonda, Il lago dei Cigni (1964), Don Chisciotte (1966), La Bella Addormentata (1966), Schiaccianoci (1967), Romeo e Giulietta (1977), Manfred (1979), il leggendario ''tartaro volante'' con Cendrillon arricchisce il nutrito carnet di ''coreoautori'' che, nel solco della tradizione o dell'antitradizione, hanno lasciato la loro impronta su questa creazione, ispirata alla celebre fiaba scritta da Charles Perrault nel 1697.

Una fabula che, dopo le numerose mise en danses allestite nel XIX secolo e nei primi del XX, con l'edizione musicata da Sergej Prokof’ev nel 1945, considerata dal compositore un tributo a Cajkovskij e alla struttura del balletto classico per variazioni, pas de deux, adagio, gavotta, valzer,  mazurca, ha avuto la sua partitura di riferimento.  
 

Marta Romagna, foto Marco Brescia
Marta Romagna, foto Marco Brescia


Eseguita en première al Teatro Bolscioi di Mosca nel '45 con libretto di Nikolai Volkov e coreografia di Rostilav e poi al Kirov di Leningrado nel ’47, con la coreografia di Kostantin Sergeev, la Cenerentola 'prokofeviana' ha continuato a mietere successi ovunque e fra le numerose versioni vale la pena di ricordare la Cinderella di Frederick Asthon al Covent Garden di Londra nel '48 con il Sadler's Wells Ballet (oggi Royal Ballet), che diede avvio alla tradizione en travesti. Quella di Alfred Rodrigues del '55 per il Corpo di Ballo della Scala con Violette Verdy e poi Carla Fracci nel ruolo della protagonista, di Loris Gai del '73 con il Balletto dell'Arena di Verona, Carla Fracci e Paolo Bortoluzzi. Quest'ultimo a sua volta autore nel '77 di una Cenerentola per il Corpo di Ballo della Scala. Senza dimenticare la Cendrillon anticonformista di Maguy Marin dell'85 per il Lyon Opera Ballet, che ha stravolto il roseo significato con biechi danzatori-bambolotti, quella del '91 di Evgheni Polyakov per MaggioDanza, trasportata negli anni Cinquanta con una rediviva Marilyn Monroe, quella del '96 di Luciano Cannito per l'Opera di Roma dentro a un museo, con una addetta alla pulizie che legge libri rosa. Infine quella di Matthew Bourne del '97 per il gruppo Adventures in Motion Pictures, ambientata nella Londra distrutta dalle incursioni dei caccia tedeschi.    

Dal canto suo Nureyev propone una rivisitazione della fiaba che, nel rispetto della partitura di Prokof'ev, è originale e anticonvenzionale perché riesce a dare un'interpretazione simbolica, a trasportare la vicenda in un contesto plausibile e infarcirla di una serie incredibile di citazioni di film e personaggi, che hanno fatto la storia di Hollywood. Quella Hollywood che lui conosceva bene per essere stato protagonista nel '77 di Valentino. Il film di Ken Russel che lo vide 'duettare' con Antony Dowell, nei panni di Nijinskj, e Leslie Caron in quelli dell'attrice russa Alla Nazimova. La stessa Caron a sua volta interprete nel 1955 di The glasses slipper, musical ispirato a Cenerentola, con coreografia di Roland Petit.         

Il primo atto del balletto 'nureyeviano', nel rispetto del libretto di Volkov, si apre in casa del padre di Cenerentola ma la location è Los Angeles e l'uomo, anziché essere un genitore premuroso, è un ubriacone. Le due litigiose sorellastre sono delle starlets votate alla carriera cinematografica, la matrigna una dispotica figura en travesti. Accanto a loro la nostra eroina, nonostante i continui maltrattamenti e soprusi, mantiene intatta la sua generosità prodigandosi subito non per una vecchia mendicante, la Fata Madrina, ma per uno sconosciuto che, feritosi in un incidente stradale, viene a chiedere aiuto. E' un importante produttore cinematografico che ha già scritturato le sorellastre ma, ammaliato dalla bellezza e dolcezza di Cenerentola, ritorna per fare di lei la stella del suo nuovo film. La conduce così ad Hollywood non su una zucca, trasformata in cocchio dorato, ma su una fiammeggiante limousine, ammonendola a non dimenticare di lasciare la magica collina appena suoneranno i rintocchi della mezzanotte.

Nel secondo atto lo stravolgimento 'nureyeviano' è completo perché la festa al castello del principe,  con dame e cavalieri, diventa un rendez-vous su un febbrile set cinematografico dove il produttore, attorniato da assistenti, direttori di scena, regista, aiuto regista, dà ordini a destra e sinistra per ultimare le riprese di differenti pellicole ed intrattenersi con il protagonista del nuovo film. Il divo in questione è circondato dalle sorellastre, che tentano con ogni mezzo di farsi notare, ma l'arrivo di Cenerentola, preceduta da un nuvolo di fotografi, sposta l'attenzione sulla splendida ospite che, secondo gli accordi, inizia a girare con il fascinoso partner di cui si innamora. Il dodicesimo colpo dell'orologio la richiama alla realtà e, spaventata, fugge lasciando incredulo il giovane, orami colpito dalla freccia di Cupido, e perdendo una scarpina. 

Robert Tewsley, foto Marco Brescia
Robert Tewsley, foto Marco Brescia


La ricerca della fanciulla si snoda per tutta la prima parte del terzo atto ma il giovane attore, anziché recarsi in paesi lontani all'insegna di un romantico esotismo spaziale, perlustra il sottobosco del locali notturni di Los Angeles per ritrovare la ragazza dal piedino 'di fata'. E mentre la ''queste'' si conclude nel nulla, Cenerentola riappare accanto al fuoco convinta di aver sognato ma la scarpetta nella tasca del grembiule e l'arrivo delle sorellastre, che raccontano l'accaduto, la convincono del contrario. La tristezza di una vita infelice sembra prendere il sopravvento quando, all’improvviso,  si presenta il divo con la scarpina da provare. Cenerentola, che nella versione tradizionale è chiamata dalle sorellastre e, nell'aiutarle a calzare la scarpetta, perde quella in suo possesso svelando di essere la prescelta, in questa rilettura mostra lei stessa l'oggetto del contendere e viene  riconosciuta. Per il produttore è il momento giusto per far firmare alla giovane il contratto e lei raggiante, assieme al suo lui, vive un momento di felicità, immortalato dalla macchina da presa del regista e dallo sguardo compiaciuto del produttore, che sa di aver azzeccato la pellicola giusta.

Nureyev, aiutato dalle imponenti scenografie hollywoodiane di Pétrika Ionesco, dagli splendidi costumi anni Trenta di Hanae Mori, fa del capolavoro musicale di Prokof'ev, bene eseguito al Piermarini dalla Orchestra del Teatro alla Scala e altrettanto ben diretto da David Coleman, una sorta di colonna sonora di un film muto. Un film di cui lui stesso, nei panni del produttore, ruolo che si riservò fin dalla prima messinscena parigina, tiene le redini. E in un raffinato gioco di espliciti richiami allo star system coinvolge lo  spettatore in un dolce amaro sogno ad occhi aperti.

Così nel primo atto Cenerentola, con indosso i panni del padre, si trasforma in Charlot poi, mettendo in pratica i consigli dati dal maestro di danza alle sorellastre, duetta con la granata in un chiaro omaggio a Fred Astaire, che balla con l'attaccapanni nel Cappello a cilindro di Mark Sandrich. E non manca neppure Groucho Marx con enorme sigaro e poderosi baffi scuri.

Le famose variazioni della Fate Primavera, Estate, Autunno, Inverno, diventano l'occasione per un elegante defilé delle collezioni stagionali, che la protagonista indosserà per il debutto hollywoodiano, e plumbei grattacieli stile Metropolis di Frizt Lang e l'orologio a ruota con enormi ingranaggi, tipo Tempi moderni di Chaplin, fanno da sfondo alla plateale uscita di scena della ragazza a bordo della limousine e accompagnata dalle note di un valzer.

Nel secondo atto la fantasmagoria cinefila di Nureyev è senza freni perché sul set si gira una divertente fuga da una prigione, che ricorda I cercatori d'oro di Merving le Roy e Busby Berkeley, e sbalorditiva è l'apparizione di King Kong con gli indigeni che offrono la vittima sacrificale come nell'omonimo film di Ernst Shoedsack e Merian Cooper. Su tutto incombe la stessa identica frenesia delle comiche di Buster Keaton, di Ridolini, dei Fratelli Marx, rotta dall’incanto del passo a due del divo e di Cenerentola che, per l'abito frusciante e le scarpe con tacco, rende onore all’indimenticabile Cyd Charisse di Singin' the Rain. 

L'ambientazione del terzo atto ci trasporta in una atmosfera di luci al neon con gigantesche figure di donna, in attillati costumi verdi, per un viaggio nella Hollywood by nigth, insidiosa, affascinante e multietnica con la taverna spagnola, la fumeria d'oppio cinese, il cabaret russo. Il romantico gran finale è tutto per Singin' the Rain con i due protagonisti che danzano avvolti da una lungo telo bianco, mosso dal vento sprigionato artificialmente da una macchina.

Gilda Gelati, Riccardo Massimi, Beatrice Carbone, foto Marco Brescia
Gilda Gelati, Riccardo Massimi, Beatrice Carbone, foto Marco Brescia


Nella coreografia 'nureyeviana' non mancano i virtuosismi del balletto di repertorio visibili nella ''danza della scopa'', in cui Cenerentola esegue con i classici pas de valse, i piqués en arabesque, i piqués pas de bourrée, nelle difficili variazioni previste per le quattro stagioni, nei pas de deux dei protagonisti con pirouettes, arabesque penchées, lifts, manèges. Ci sono anche le classiche incursioni pantomimiche e le scene corali che scandiscono le sequenze dei singoli atti, ma tutto è come 'asciugato' da obsoleti manierismi. La danza, pur nell'indubbia impostazione accademica, riesce ad incontrare il musical, ad usare la parte superiore del corpo e le braccia in modo più fluido, risentendo degli influssi dell'orchestica contemporanea.

Erano gli Ottanta quando Rudolf appose la sua firma a Cendrillon e il vento di Carolyn Carlson non era passato invano nella vecchia Europa e Nureyev non solo ne fa tesoro ma, con un tocco geniale, trasforma la tradizionale scena delle ore in una sequenza di chiaro stampo contemporaneo, con ballerini in attillate tute variopinte.

Al Teatro alla Scala i protagonisti hanno superato il duro banco di prova a cominciare dal Corpo di ballo, dalle brave e convincenti sorellastre, Gilda Gelati e Beatrice Carbone, dalla matrigna, un Riccardo Massimi perfettamente calato nella parte, dal produttore, un ottimo Mick Zeni.

Un encomio particolare spetta a Robert Tewsley, étoile di prima grandezza del Royal Ballet, guest artist e poi principal dancer del New York City Ballet, per l'incredibile pulizia tecnica e la giusta resa di un personaggio che, trasformato in un divo, correva il rischio di tramutarsi in una marionetta. Marta Romagna, prima ballerina dell’organico scaligero, ha regalato una Cenerentola in sintonia con il suo essere una danzatrice longilinea, elegante, estremamente lirica e tecnicamente perfetta, ma un po' troppo timorosa nel mostrarsi in tutta la sua radiosa bellezza.       



Cenerentola
cast cast & credits
 


Teatro alla Scala

 

 


 

Marta Romagna, foto Marco Brescia
Marta Romagna, foto Marco Brescia

 

 

 


 


Marta Romagna e Robert Tewsley, foto Marco Brescia
Marta Romagna e Robert Tewsley, foto Marco Brescia

 

 

 

 



 

 
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