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L'evemerismo delle dame

di Siro Ferrone
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Data di pubblicazione su web 01/05/2004  
Secondo la dottrina di Evemero (III secolo a.C.) gli umani potevano aspirare a raggiungere l'Olimpo in virtù di eroiche e nobili imprese, soprattutto militari e guerresche: Ercole fu l'esempio massimo del possibile tragitto dalla mortalità all'immortalità. Ma non mancarono, tra gli antichi, anche gli esempi di illustri divinizzazioni realizzate in virtù di imprese sportive. Le prestazioni degli atleti erano infatti le più prossime a quelle dei guerrieri, richiedendo come quelle coraggio, forza, capacità di soffrire, talento, destrezza e resistenza. Gli agoni erano la simulazione pacifica della guerra, la verifica indolore delle virtù militari e delle relative qualità morali. Sovente gli atleti e i guerrieri furono accomunati dal canto degli aedi per le loro vittorie. Le donne, per parte loro, potevano aspirare all'Olimpo soprattutto essendo ottime madri e amanti.

Nel secolo XX, al culmine dello sviluppo borghese, lo sport è apparso di nuovo l'ideale congiungimento della terra al cielo. La competizione sportiva, di squadra o individuale, è tornata ad essere garanzia di sicura fama e, per pochi eletti, di immortalità. Complici questa volta, non i colleghi di Pindaro, ma i mezzi di comunicazione giornalistici televisivi e telematici, nuovi semidei si sono imposti nel cosiddetto villaggio globale contemporaneo: dal mitico nero vittorioso in terra nazista, Jessie Owens, all'atleta volante Michael Jordan all'invincibile re Mohamed Alì, dal Tarzan John Weissmüller al disumano "aquilotto biancoceleste" Fausto Coppi.

E nel nostro secolo hanno finalmente fatto la loro apparizione anche le semidee dello sport a cominciare dalla trasgressiva supercampionessa di tennis Suzanne Lenglen, bella, omosessuale e anfetaminica, immortalata dal fotografo Jacques-Henry Lartigue, la prima donna a diventare (1926) sportiva professionista, precedendo nel tennis il professionismo maschile.

Alcuni dei nostri semidei contemporanei sono stati rapiti presto in cielo o sono vissuti infelici. Proprio per questo, soprattutto se donne, hanno collaborato a creare, con il loro "stile" fisico e con i loro "caratteri", dei modelli di comportamento; i più "fortunati", in genere post mortem, sono anche approdati alla letteratura e allo spettacolo come protagonisti di favole più o meno realistiche: tra questi proprio la Lenglen, disinvolta ostentatrice di audaci (per allora) costumi da court e di abiti firmati. Molti altri "campioni"o "campionesse", aiutati dagli additivi commerciali del nostro tempo, sono arrivati, ancora nel pieno della loro attività agonistica, a lavorare come attori e attrici, indossatrici e indossatori nelle sfilate di moda, interpreti di spot pubblicitari. In questa maniera, per il loro tramite, l'azione sportiva è diventata la protagonista, senza mediazioni, del sistema dello spettacolo contemporaneo.

Il sudore e la resistenza, le smorfie del dolore e della fatica, le ferite e le cadute, la disperazione isterica, l'esultanza parossistica, la paura e il rischio estremizzati, reintroducono nella coscienza visiva dei contemporanei una presenza del corpo che la cultura religiosa e letteraria hanno spesso rimosso. Nel recinto della "verità" agonistica (meglio che in quello della finzione letteraria, teatrale o filmica) ci si può illudere di ritrovare le emozioni perdute nella vita quotidiana. Ma si pensi anche al resto: i rituali pre-agonistici, le regole di gioco, le cerimonie protocollari di premiazione, i trofei, i costumi e le divise, le tute per i nuotatori e i corridori e gli sciatori, i colori e i numeri delle maglie, i guantoni e la calzamaglia, le scarpette e le racchette, gli asciugamani e le tute, la disposizione delle squadre in campo, le scritte degli sponsor, le linee e i disegni del terreno di gioco, i tabelloni dei risultati, i cronometristi e gli arbitri, gli inni nazionali, le bandiere dei clubs, eccetera. Un universo che è al tempo stesso carnevalesco, aristocratico e teatrale. Astratto e passionale. Emozionante e tassonomico. Destinato sì a fuoriuscire dalla calcolata vita del presente, ma solo a patto di restare un gioco evasivo e fantastico. Un tale equilibrio tra il bisogno di "trasgressione" sociale e la necessità di rassicuranti conferme, è all'origine dello sport femminile.

Grazie alla sue prove ginniche o agonistiche, la donna è giunta talvolta a conquistare negli ultimi centocinquanta anni una promozione a "diva" analoga a quella conseguita nel corso dei secoli con il teatro e la musica, e pagata a lungo con l'accusa di immoralità. Come nello spettacolo, la donna attraverso l'azione sportiva valorizza di sé la parte "eroica" celibe, rimuovendo la funzione di riproduttrice e moglie. La donna-atleta è uno dei possibili punti di arrivo dell'immaginario femminista, l'esaltazione dell'amazzone mitica, virile e guerresca (all'amazzone fanno infatti riferimento i primi costumi sportivi di serie). E anche se in questi casi la citazione dei miti viene realizzata per così dire "da lontano", con una prudenza tutta "moderna", l'apparizione sulle pagine dei giornali dei primi anni del Novecento delle notizie relative alle performances di donne-campione apparirà come l'eco di altre "vergini-dive" mitiche o teatrali (come Pentesilea, Giuditta o Clorinda, come la mistica Duse o l'androgina Sarah Bernhardt) generando un movimento di autocontemplazione indotta in larghi strati della popolazione femminile benestante. In realtà l'evoluzione della mentalità era iniziata, con più leggere accensioni, poco prima della metà dell'Ottocento, come un movimento di emancipazione dal costume (inteso in senso letterale e figurato) di antico regime e una progressiva liberazione vestimentaria che porterà prima al denudamento dei corpi e poi al loro spettacolare rimascheramento del nostro secolo.

I figurini sportivi e femminili esposti nella mostra Lo sport in passerella. Figurini di abiti sportivi femminili dell'Ottocento testimoniano i primi passi di quel percorso che dava a ogni donna vestita alla sportiva l'illusione di essere, nel sua ben regolata divisa, la rappresentante in terra di una stirpe divina scesa in terra a miracol mostrare. In altre parole, l'interprete di un evemerismo aggraziato alla portata di tutte.

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