Tentativo tra i più eloquenti da parte del genere operistico di rinnovarsi sul piano dei soggetti, ma conservando orgogliosamente intatta la propria fisionomia - per lappunto - di "genere", Elegy for Young Lovers vive senza dissociazioni la propria natura in bilico tra sperimentalismi drammaturgici e meccanismi rappresentativi dantico conio. Figlia di unepoca (1961) in cui il teatro musicale ha perso la fiducia nellillustrare dei personaggi, preferendo mettere in scena più che altro se stesso, Elegy è uneccellente difesa del melodramma inteso come racconto: un manifesto non programmatico, e dunque tanto più efficace, dei doveri narrativi della musica. Se da un compositore come Henze, fedele più alla musa dellimplicito che a quella dellesplicito, è possibile trarre una direttiva estetica, essa in fondo è questa: il linguaggio musicale non è un dato astratto, ma un mezzo per approdare allimmagine - visiva e sonora - della vicenda che si va a mettere in scena.
Isolde Siebert e Davide Damiani
Cosa dunque ci racconta lelegia di questi giovani amanti, o meglio cosa fa la musica di Henze per raccontarcela? Qualcosa che con lamore - nonché con il carattere tenero e misurato del genere elegiaco - ha poco a che fare: legoismo dellartista, lopera darte come vampirizzazione del prossimo, fino, se necessario, al suo annientamento. Non sappiamo nulla dei precedenti letterari di Gregor Mittenhofer, ma sappiamo per certo che si tratta di un genio, che il suo prossimo testo poetico sarà il suo capolavoro definitivo e che la devotissima corte che lo circonda ("i servi del Servo della Musa") pende dalle sue labbra, seguendolo nellalbergo alpino che da anni è il suo buen retiro. Disprezza i propri contemporanei a cominciare da George e Hofmannsthal, anche se del primo sembra condividere la missione del poeta-sacerdote e, del secondo, conserva una visione della cultura rigorosamente aristocratica. Detesta i critici, dicendo che "le loro lodi sono peggio delle loro stroncature" (cè da dargli ragione, qualche volta).
Schiavizza la matura segretaria innamorata di lui, si gode unamante giovane e si fa prescrivere dal fido dottore farmaci che lo rendano - sta per compiere sessantanni - allaltezza della situazione come ai bei tempi. Allimprovviso il meccanismo sincrina: la ragazza sinnamora del figlio del dottore, mentre la mentecatta cui Mittenhofer "rubava" le visioni, annotandole e riproponendole nelle sue poesie, cessa il proprio quarantennale delirio, lasciandolo a corto dispirazione. Sembrerebbe linizio della fine, ma se il duello contro il tempo lascia tutti sconfitti a soccombere fisicamente saranno solo i due giovani: rendendo anche il delitto una forma darte, Mittenhofer prima li manda a morire sulla montagna, facendo in modo che non siano avvisati dellarrivo di una tormenta, poi sul loro infausto caso compone la sua elegia-capolavoro. Anche se, quando va a leggerla, tutto si riduce a un vocalizzo: come se la musica sia lunica voce per ciò che non si può esprimere a parole.
Scandagliatissimo soprattutto nelle psicologie femminili e molto ricco di spunti collaterali (il più incisivo è la dicotomia tra il tempo che scorre - il rintocco dellorologio avrà il suo peso nella partitura - e il tempo che si è fermato, simbolizzato dal ghiacciaio e riassunto dalla follia della donna che da quarantanni aspetta il ritorno del marito, morto nel primo giorno di nozze) il libretto di Auden e Kallman può contare su unautonomia formale che travalica abbondantemente il dato musicale, ma Henze lo recepisce in perfetta osmosi tra musica e testo poetico: precise corrispondenze tra personaggi e strumenti (Mittenhofer è legato agli ottoni, i giovani amanti agli archi...); centralità espressiva della dimensione vocale; incisi strumentali sapientemente aforistici. Lothar Koenigs, alla guida di unOrchestra Filarmonica Marchigiana forse mai così concentrata, offre una lettura non neutrale: privilegiando quanto di scheggiato, scabro e angoloso cè nella partitura e minimizzandone le rarefazioni, le trasparenze, le pulviscolarità. Ed è sintomatica in tal senso la scelta - avallata da Henze e ufficializzata da una revisione di una ventina danni fa - di sopprimere il duetto tra i due giovani, ovvero il momento più lirico dellopera.
John Bellemer, Ruth Rosique e Davide Damiani
Regista estetizzante, Pier Luigi Pizzi non pare qui luomo giusto al posto giusto: se a Henze fu rimproverato di aver composto un lavoro che stimolava più i nervi che il cuore, Pizzi sembra sollecitare soprattutto locchio. Resa lode alla chiarezza elegante del Pizzi scenografo, non convincono né la decisione di accorpare i tre atti senza intervallo, che vanifica in parte proprio lampio respiro operistico del lavoro, né alcune soluzioni tutto sommato abusate, dallimpiego di mimi alla tempesta di neve evocata, strehlerianamente, dalla semplice agitazione di un telo bianco; e la scelta di fare anche di Mittenhofer uno sconfitto (nel finale lo vediamo trascinarsi svuotato di energie, a testa china) lascia il sospetto di una forzatura. Molto riusciti invece taluni incisi ironici, come la folle in attesa del marito prima agghindata da sposa in bianco e poi, preso atto della realtà, trasformata in una vedova allegra sgonnellante in veletta nera.
Ai cantanti, chiamati a trascolorare dal canto spiegato al declamato al parlato, lopera richiede ovviamente una precisione ritmica tutta novecentesca, ma anche di essere delle autentiche voci. Il cast femminile (Ruth Rosique è la ragazza, lintensissima Elizabeth Laurence incarna la segretaria masochista, Isolde Siebert è la pazza insignita della sua brava aria di follia, con tanto di coloratura) risponde a entrambi i desiderata. Quello maschile offre, più che altro, dei buoni interpreti, ma pur con mezzi vocali non memorabili almeno il baritono Davide Damiani merita un plauso incondizionato per come tratteggia il suo Mittenhofer narcisistico e glaciale.
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Elegy for young lovers
opera in tre atti di Hans Werner Henze
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Teatro delle Muse
Foto: Sandro D'Ascanio
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