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Gli Uccelli e l'utopia del teatro

di Giulia Tellini
  Sandro Lombardi
Data di pubblicazione su web 30/11/2005  

Al Teatro Goldoni di Firenze, il 3 novembre 2005, è andato in scena in prima assoluta il "dramma didattico" Gli Uccelli di Aristofane diretto da Federico Tiezzi e interpretato da Sandro Lombardi. Regista e interprete di spettacoli come L'apparenza inganna di Thomas Bernhard (2000), l'Antigone di Sofocle di Bertolt Brecht (2004), Viaggio Terrestre e celeste di Simone Martini di Mario Luzi (2004). Di questa nuova produzione della Compagnia Lombardi-Tiezzi ci parla il protagonista Sandro Lombardi.

Marta Richeldi e Sandro Lombardi
Marta Richeldi e Sandro Lombardi



Perché avete scelto di mettere in scena Aristofane? Perché avete scelto questo testo, Gli Uccelli
Dopo l'esperienza dell'Antigone che, pur essendo quella riscritta da Brecht era comunque basata sostanzialmente sul testo sofocleo, ci interessava continuare il lavoro sul teatro classico. Questa volta affrontando però un testo che non fosse tragico ma comico. Ed Aristofane era sicuramente l'autore più adatto. Gli Uccelli in particolare perché secondo me è la commedia in assoluto più bella fra quelle di Aristofane: soprattutto è la più fantastica, la più fantasiosa, quella che in una forma di grande leggerezza, di grande fantasia, di grande inventività, di grande comicità, fa passare una serie di contenuti molto gravi, molto attuali. Quello che ad Aristofane in quel momento interessava  raccontare era la crisi della democrazia e il pericolo per ogni democrazia di involuzione in un regime autoritario. A Federico [Tiezzi] interessava molto il fatto che il testo avesse questo aspetto di favola dimostrativa e quindi non a caso l'ha voluto sottotitolare "dramma didattico" come faceva Bertolt Brecht per i suoi drammi didattici, quelli in cui dimostrava una tesi. Naturalmente il testo di Aristofane contiene una quantità di elementi che vanno anche al di là del dramma didattico. Ma questa era una chiave di lettura che Federico mi ha chiesto di esplicitare anche in fase di revisione drammaturgica. Mi ha chiesto di tagliare, di risistemare, di ridurre: insomma di adattare il testo - in questo caso nella traduzione di Dario del Corno - seguendo l'idea guida di concepirlo come una favola dimostrativa. 

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo




In che direzione ti sei mosso per adattare il testo, per curarne la revisione drammaturgica?

Da una parte nella direzione di cui ti ho appena parlato e, dall'altra, volevo rendere esplicito tutto quello che nel testo è di difficile comprensione. Quando si legge un libro si può ricorrere alle note. Ci sono molti riferimenti oscuri in Aristofane. Come ce ne sono anche in Dante. In certi canti dell'Inferno o del Purgatorio, Dante fa riferimento in continuazione ai suoi contemporanei. Noi non sappiamo più chi fossero. Così anche Aristofane. Per i lettori o gli spettatori di allora erano figure comuni come se oggi noi parlassimo dei nostri politici o delle figure di spicco della nostra società. Oggi non lo sono più: lo spettatore non sa più chi sono. Mentre il lettore può fare ricorso alle note, lo spettatore non ha questa possibilità. Perciò tutti i riferimenti dovevano essere sciolti in fase di revisione drammaturgica. Modificando il testo nella traduzione di Del Corno mi sono mosso su questa linea: quella di renderlo comprensibile ed esplicito. Se c'è un riferimento dovevo spiegarlo, farlo capire, farlo arrivare immediatamente al pubblico oppure - laddove non era assolutamente possibile esplicitare o chiarificare il riferimento - tanto valeva lasciarlo cadere. A teatro non si può parlare di qualcosa alludendo a qualcuno quando si è consapevoli che nella memoria collettiva degli spettatori questo qualcuno non c'è, salvo magari in quella di qualche rarissimo caso di specialista.

Per quanto riguarda il protagonista, Pisetero, il ruolo che interpreti, a quali personaggi o canoni figurativi ti sei ispirato?
Pisetero, come del resto Evelpide, si muove su due piani. Uno è quello strettamente formale che si rifà a modelli squisitamente cinematografici e teatrali. Parlo nel nostro caso in primo luogo del Totò e del Ninetto Davoli di Uccellacci e uccellini di Pasolini, ed in secondo luogo di Vladimiro ed Estragone nell'Aspettando Godot di Beckett. Possono anche essere Pamino e l'Uccellatore del Flauto Magico di Mozart. C'è una serie di riferimenti per quello che riguarda strettamente la forma. Il secondo piano riguarda invece i contenuti: Pisetero ed Evelpide sono due personaggi che hanno due diversi sviluppi, diverse trasformazioni. Evelpide è un personaggio che Aristofane abbandona, ad un certo punto. Lo utilizza nella prima parte della commedia e poi lo abbandona a se stesso. Evelpide scompare e non si coglie in lui un parallelismo di trasformazione con Pisetero. Pisetero invece arriva fino in fondo alla commedia e, attraverso Pisetero, Aristofane racconta la trasformazione di un idealista, di un utopista in tiranno. Pisetero parte da Atene, lascia la sua città perché disgustato da tutta la corruzione, da tutto il malgoverno che mette in crisi la democrazia, parte da tutto questo per andare a cercare un luogo ideale, un luogo meraviglioso, un luogo utopico dove ci sia la libertà per tutti, dove ci sia la felicità per tutti e poi si trasforma gradualmente in un tiranno. Si trasforma per vari motivi: un po' perché appena creata questa città degli uccelli cominciano ad arrivare gli scocciatori, i ladri, i poetastri, i venditori di leggi - i lobbisti si direbbe oggi - i faccendieri e tutte quelle figure che in genere inquinano la purezza di una società e un po' perché comunque viene anche tentato dal potere. Quando si rende conto di esercitare un potere nei confronti degli uccelli abdica al suo idealismo e diventa cinico, fino a divenire persino crudele nel momento in cui mette allo spiedo alcuni di questi uccelli. E' una parabola che ricorda molto da vicino tante vicende del secolo appena concluso. Quanti rivoluzionari abbiamo visto trasformarsi in demagoghi o in tiranni? Quante speranze di rivoluzione abbiamo visto poi incarnarsi in regimi autoritari e illiberali? 

C'è, nello spettacolo, uno stare dentro il teatro dal punto di vista della forma e uno stare dentro la vita della società dal punto di vista dei contenuti. Credo che il testo tocchi problemi che riguardano tutti, come il fatto di fidarsi o meno. Questi uccelli si affidano a Pisetero perchè lui riesce a convincerli. Peiseteros in greco significa "il persuasore", colui che convince: lui li convince a seguirlo, diventa il loro leader, la loro guida. Loro si fidano di lui, si affidano a lui, e vengono trasformati da creature meravigliose dell'aria, piumate, multicolori, variopinte in piccoloborghesi, grigi, massificati e ai suoi ordini. 

Hai detto che nello spettacolo ci sono riferimenti a Pasolini, Beckett, Mozart. Si sente anche Wagner ad un certo punto. Quanto importante è per te tanto nell’arte quanto nella vita il detto forsteriano “Soltanto connettere”? 
"Only connect": è fondamentale. Credo sia importante per tutti, non solo dal punto di vista della cultura ma anche dal punto di vista della vita quotidiana, saper mettere in relazione le cose, riuscire, trovare, tentare, cercare di mettere in relazione le cose e di non lasciare che si perdano, si disperdano. E' l'unico modo per costruirsi una rete di senso all'interno della quale poter vivere con la sensazione di avere un significato. Connettere, dal punto di vista del lavoro, significa invece cogliere tutto quello che un testo, soprattutto quando è molto antico come questo, e quando è particolarmente felice, bello, riuscito – Gli Uccelli credo che sia uno dei testi teatrali più belli di tutta la storia del teatro occidentale – porta con sè, in sè, dietro di sè. La storia di tutti coloro che di volta in volta vi hanno fatto riferimento: da Wagner che lo studiava quando doveva comporre i Maestri Cantori di Norimberga e cercava un modello di comicità al Flauto magico di Mozart in cui credo vi siano riferimenti espliciti agli Uccelli ma che è comunque molto vicino, molto affine alla natura dell'opera di Aristofane. Forse è l'unica opera che abbia la stessa grazia, la stessa felicità inventiva, la stessa leggerezza, lo stesso sorriso – benché molto amaro - pur affrontando temi di religione nel caso di Mozart, di politica nel caso di Aristofane.  

Il tuo libro Gli Anni felici si apre con una citazione iniziale da Thomas Bernhard: «il teatro era una possibilità. Non tanto l’arte quanto la possibilità di essere costantemente tra esseri umani». Che cosa significa questa frase per te?
Il teatro è una di quelle attività artistiche come del resto altre, come la musica o il cinema, che non si fanno da soli ma si fanno insieme ad altre persone. Questo comporta ogni volta il tentativo di creare una piccola città ideale, un luogo in cui la discussione sia aperta e libera. Una piccola utopia, come la città degli uccelli di Aristofane. In questo senso il testo può essere considerato metateatrale. Il palcoscenico è l’unica utopia che rimane per noi, per i teatranti: è il luogo utopico per eccellenza, quello dove si prova a sperimentare - all'interno di un piccolo gruppo, di un microcosmo - modalità di relazione interpersonale o collettiva che siano democratiche, felici, che offrano la possibilità di una convivenza civile. E' una esperienza che - per quanto avvenga nello spazio piccolo, circoscritto, anche marginale se vuoi, dell'attività artistica - può essere senza dubbio considerata un esperimento relazionale in miniatura. Un esperimento che può allargarsi o, per lo meno, lanciare dei segnali e lasciare dei segni anche nel corpo più grande della società intera.





 
 

 

 

Biografia di Sandro Lombardi dal sito Emilia Romagna Teatro (ERT)



Foto di Marcello Norberth


 
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