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L'umano e l'inumano

di Federico Ferrone
  L'enfant
Data di pubblicazione su web 09/11/2005  
E’ un vero e proprio capolavoro di rigore cinematografico il film L’enfant di Jean-Pierre e Luc Dardenne, premiato con la Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes.

Già autori dei bellissimi Il figlio e Rosetta, Palma d’oro nel 1999, i fratelli Dardenne raggiungono con questo film quell’effetto di purezza cinematografica che tanto predicavano (con minore sincerità, verrebbe da credere) Lars Von Trier e i suoi soci di Dogma 95.


 

Di tale manifesto i Dardenne riprendono sostanzialmente gli ingredienti: mancanza di colonna sonora esterna aggiunta o luci artificiali, macchina a mano, intreccio quasi in tempo reale. Ma ciò che là era enunciazione ideologica diviene qui scelta funzionale, adattata ad un rigoroso realismo che si fa anche documento della miseria sociale del Belgio, e in fondo dell’Europa, di oggi.

Protagonisti di tale miseria non sono degli immigrati di colore ma, come diceva Pasolini in Teorema a proposito della serva Emilia/Laura Betti, degli "esclusi di razza bianca": giovani belgi figli della de- industrializzazione ed esclusi dal nuovo benessere. Sonia e Bruno, poco più che adolescenti e genitori del neonato Jimmy, incarnano lo squallore col sorriso, subendo la miseria più di quanto non credano e si sforzino di fare.




 

Sonia è disoccupata, senza famiglia e ingenua. Bruno, capo di una baby gang di ragazzini scippatori e ladri, dorme per la strada nonostante abbia una madre, rifiuta lavori stabili ma in fondo ama Sonia e prova tenerezza per il bambino. Quando dei criminali senza volto gli propongono di acquistargli il neonato per qualche migliaio di euro prima esita poi accetta senza calcolare le conseguenze del suo gesto impulsivo.

L’ambiguità del titolo è chiara: chi è l’enfant? Il neonato venduto, uno dei giovani soci del protagonista o lo stesso Bruno, sorta di orfano spaesato in bilico tra passioni, debolezze e un ambiente ostile?

Il film dei Dardenne è straordinario per come obbliga lo spettatore a provare simpatia (in senso etimologico) per il protagonista, vero centro del film: uomo capace di vendere il figlio per pochi soldi eppure in balìa di circostanze all’apparenza più forti di lui. Bruno il butterato e delinquente la cui repellenza è quasi mutata in bellezza dalla mano dei registi: sforzo cinematografico estremo, rendere piacevole e dolce la bruttezza senza trucchi o effetti speciali, ma con la sola forza della descrizione e dell’immedesimazione.

Bruno che davanti alla rabbia di Sonia cerca di recuperare il bambino tuffandosi disperatamente in un ambiente ostile contro il quale è solo e disarmato, come l’Antonio Ricci di Ladri di Biciclette. E se il paragone bimbo- bici appare inumano è invece cinematograficamente appropriato, segno evidente della filiazione De Sica- Dardennes.




 

Si potrà obiettare che L’Enfant ricalca troppo la formula de Il Figlio e di Rosetta. Ma è quasi miracoloso quanti dettagli, quante riflessioni aperte e quante lezioni di cinema si possano desumere da un film all’apparenza monocorde come questo.

A partire dalla chiave politica, sottesa e silenziosa eppure evidente nell’ultra-realismo in cui serpeggia lo spettro della pedofilia e nella descrizione degli ambienti dell’azione: periferie di fabbriche smantellate, popolate di disperati che alloggiano in dormitori e che hanno accesso alla ricchezza dei cittadini normali solo quando li avvicinano per derubarli.

Ma l’Enfant può essere letto soprattutto come un apologo sulla predestinazione, o meglio contro quest’ultima e quindi sulla redenzione. Ne è la prova la scena finale, che ricorda quella di Delitto e Castigo con Bruno che, dopo aver accettato il carcere costituendosi alla polizia per scagionare il socio ragazzino, riceve in prigione la visita di Sonia col bambino, dopo che questa gli aveva giurato di non volerlo più vedere.

Una scena che nel film non è consolatoria nè conciliante: la redenzione non è certa, come non è chiaro il futuro di Bruno, di Sonia e del figlio. Quello che balena, come in Dostoevskij è la semplice possibilità- quella sì- di una redenzione dalla miseria umana. Solo che qui, ovviamente, Dio non ha nessun ruolo da svolgere.

Ed in questa- tutto sommato- negazione della predestinazione sta forse l’aspetto al contempo più politico e più originale di tutto il film.







L'enfant
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