Vedere Roberto Benigni che, al TgUno delle 20 di sabato 15 ottobre, fa la solita scenetta accanto, addosso, dietro, un imbarazzato (neanche tanto) Romita, lettore dello stesso, fa un effetto patetico. Ci dispiace dirlo.
È lì, naturalmente, per pubblicizzare il suo ultimo film: la Rai, benevola, gli concede dieci minuti di pubblicità gratis con un ascolto a quellora altissimo. Ma si può? E perché a lui e non a un altro? La risposta è semplice: Benigni è ormai un comico di regime. Qualsiasi regime, naturalmente. Ma di regime.
Il suo film non è solo brutto, anzi orrendo, una furbata melensa per far quattrini: è inutile. Le cose che dice sono così banali che si vergognerebbe un bambino a ripeterle in classe (la poesia che è bella… la guerra che è brutta…). Le gags che ci ammannisce al Tg sono vecchie di trentanni: Benigni, ultracinquantenne, le fa da quando ha cominciato ad andare in scena, cioè da sempre. Dice al giornalista che è un bel giovanottino. Dice che lo ama. Poi si rivolge alla moglie di lui. Poi si leva la camicia. Poi lo abbraccia… Viene da piangere.
Ci si chiede come può un ex comico un tempo (ventanni fa almeno) bravo ridursi così, a fare film insipidi e di una banalità sconcertante, brutti, scontati come lacqua calda (anzi: tiepida) ed ottenere dalla Rai i servizi di Mollica che lo trattano come se fosse Chaplin redivivo, e un Tg quasi tutto per lui. In cui fa le solite scenette per far soldi.
Se non fosse patetico, sarebbe imbarazzante. Se non fosse imbarazzante, sarebbe offensivo.
Sic transit gloria Benigni.
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