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Sentimenti senz'anima

di Marco Luceri
  Margherita Buy in "I giorni dell'abbandono" di Roberto Faenza
Data di pubblicazione su web 11/09/2005  
Primo dei tre film italiani in concorso, I giorni dell’abbandono, ispirato all’omonimo romanzo di Elena Ferrante, è il nuovo film di Roberto Faenza: prosegue dunque la tradizione che vede il regista torinese interessato al confine tra cinema e letteratura (ricordiamo sue precedenti opere come Sostiene Pereira, Marianna Ucrìa e L’amante perduto). 

Olga (Margherita Buy), una donna ancora giovane, serena e appagata, viene abbandonata all’improvviso dal marito (Luca Zingaretti) e precipita in un gorgo senza fine. Rimasta sola con i piccoli figli, la donna viene travolta dalla depressione: non mangia più, è una frana sul lavoro, non riesce a seguire i bambini, litiga con la madre, viene schiacciata dai rimorsi per non aver compreso il motivo dell’abbandono da parte del marito. Fuggito con una bellissima ragazza con la metà dei suoi anni, egli ignora la moglie, che lentamente trova rifugio nel tormentato rapporto con un vicino di casa, un musicista straniero interpretato da Goran Bregovic.

I giorni dell'abbandono


Film dalla trama piuttosto semplice, I giorni dell’abbandono è una parabola sulla fragilità della vita, dei rapporti interpersonali, della voglia di autodeterminazione. Il viaggio interiore che compie Olga è una classica discesa agli inferi: la caduta nel tunnel rovinoso, poi la cura e infine la lenta risalita verso la normalità. E’ chiaro che questo personaggio femminile ha la “sfortuna” di sentirsi sentimentalmente coinvolto fino in fondo dagli eventi, senza possibilità di fuga. Riallacciandosi alla figura di Sabina Spielrein, un’altra donna abbandonata, protagonista del precedente Prendimi l’anima, Faenza mette in scena il dramma di una vera e propria perdita dell’anima, nella misera quotidianità di una vita sociale fatta di mediazioni, smussature e delusioni da ingoiare in silenzio. Di fronte alla meschinità dei propri presunti cari, Olga, come Sabina, trasforma la sua estrema debolezza in un punto di forza: invece di zittirsi, urla al mondo la sofferenza che non riesce a celare dentro.

Alla fine ciò che la donna riesce a costruire è una forte autostima, raggiunta in maniera lenta e faticosa. Buona appare in questo senso proprio l’interpretazione della Buy, intenta come non mai a tratteggiare questo personaggio a tratti disperato, a tratti violento e odioso; la sua recitazione cerca di comprendere la massima gamma di espressioni, per contrapporre il caos interiore alla vacuità dell’esterno in cui si muove. Alla fine del percorso, Olga riesce finalmente ad aprire gli occhi sul mondo, ma il suo sguardo è cambiato, perchè ormai libero dal ruolo di schiava che l’aveva privata del piacere della vita.

Se dunque I giorni dell’abbandono da un punto di vista drammaturgico potrebbe apparire come un film dai potenziali esiti, nel suo complesso resta molto al di sotto delle aspettative. I difetti di Faenza in questo senso sono evidenti: la messinscena appare molto incerta, l’alternarsi di momenti troppo discordanti tra loro cerca, non riuscendoci, di nascondere una pericolosa carenza di idee registiche, elemento che diventa ancora più evidente nella seconda parte del film, in cui l’emotività e la forza che meriterebbero certe scene vengono smorzate da toni poco convincenti. Quest’ultima opera di Faenza sembra dunque un film privo di un’ossatura credibile, in cui ci si limita ad esercitare il proprio (buon?) mestiere, senza dare al materiale filmico quello slancio ideale ed artistico che (forse) avrebbe meritato.

Un film senz’anima. Ecco tutto.



I giorni dell'abbandono
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