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La fabbrica del cinema

di Riccardo Castellacci
  Freddie Highmore in "La fabbrica del cioccolato"
Data di pubblicazione su web 26/09/2005  
Il geniale inventore di ricette e proprietario della più grande fabbrica di dolciumi del mondo, Willy Wonka (Johnny Depp), distribuisce cinque biglietti d’oro, che nascosti nelle tavolette di cioccolato, permetteranno di entrare nella cioccolateria e di attendere ad un premio eccezionale. I vincitori sono quattro ragazzi odiosi e spregevoli, cui si aggiunge, all’ultimo e un po’ fortunosamente, il piccolo e povero Charlie.

All'interno della fabbrica


Una ciminiera compare fra la neve, solcata da una spirale. Dalla sua cima, attraverso lo sguardo della macchina da presa, lo spettatore piomba all’interno della fabbrica, luogo oscuro dove strani macchinari preparano milioni di tavolette di cioccolato. Tutto accade automaticamente, come una danza, un Ballet mécanique, che ricorda il film di Léger; l’uomo è presente solo attraverso una piccola mano che colloca in cinque confezioni altrettanti biglietti d’oro, chiavi d’accesso alla grande fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. I titoli di testa di La fabbrica di cioccolato mostrano un cinema privo di sangue, di uomini, un Anémic cinéma, caratterizzato dalla spirale, proprio come il film di Man Ray e Duchamp con dischi circolari fatti roteare. Proprio il tema della spirale, movimento progressivo condotto senza fine verso il centro, immerge l’evento raccontato e ritornerà più volte all’interno del film, caratterizzandone la struttura e la dinamica drammaturgica interna.

Il recupero della tradizione figurativa delle avanguardie è immediatamente visibile anche nella piccola casa del protagonista povero, direttamente contrapposta alla grande e misteriosa fabbrica: un’abitazione in pieno stile espressionista, con le pareti inclinate, pronta a crollare, e al suo interno i visi segnati dal tempo e dalla povertà della famiglia di Charlie.

Tim Burton, che ci racconta una storia in pieno stile dickensiano, con al centro il povero ma virtuoso bambino, è un profondo conoscitore di due aspetti fondamentali che hanno influito sulla nascita del cinema: il reciproco affermarsi dell’istanza culturale vittoriana e del mito di Frankenstein. Burton usa il contenitore narrativo per scavarlo dall’interno; abile narratore sa che ogni film ha bisogno di una storia su cui fondarsi, ma questa può essere utilizzata per raccontare altro. Costruisce, dunque, una serie precisa di semplici e dirette contrapposizioni: povertà/ricchezza, onestà/vizio, cattiveria/bontà, tuttavia all’interno di esse il regista sceglie di operare in modo da approfondire il messaggio. La caratterizzazione dei personaggi è improntata all’identità: ognuno è quello che sembra e vi è piena corrispondenza fra caratteri fisici e psicologici. Il lavoro sui volti è tale da rendere alcuni delle maschere plastificate, immagine della vacuità di certi comportamenti sociali (il bambino grasso tedesco e la madre della bambina aggressiva sono incarnazione dell’orrore). 
 


 
I quattro bambini che per primi trovano la magica targa d’oro che permetterà loro di entrare nella fabbrica del cioccolato, sono immagine di altrettanti vizi: golosità, avarizia, e superbia, questa declinata sia nell’ambizione della bambina condannata a vincere, sia nella presunzione del terribile bambino tecnologico, genio dei giochi. Ognuno di loro nel viaggio all’interno della fabbrica, accompagnato e guidato da un traghettatore d’eccezione, un Deep, ambiguo, livido e giullaresco, la cui figura si colloca fra il dandy, Edward Mani di Forbice, Marylin Manson in versione più sobria e Michael Jackson, incontrerà la propria pena e il preciso contrappasso. Piccoli esseri crudeli e folli gli Umpa-Lumpa ruberanno la scena a Wonka e sottolineeranno con danze grottesche e coreografie degne di Berkeley, le colpe di cui si sono macchiati i bambini (ovvero gli uomini).

All'interno della stanza delle televisioni

La storia di Willy Wonka, ripresa dal romanzo di Roald Dahl (1906-1990) Charlie and the Chocolate Factory, pubblicato nel 1964, mostra con quale capacità Burton utilizzi la favola per criticare la società dello spettacolo americana e non. La scena nella stanza delle televisioni chiarisce a proposito diverse intuizioni. Wonka ha costruito un congegno capace di trasportare il reale nella televisione, lasciandolo concreto. Vediamo la tavoletta di cioccolato materializzarsi nella tv che trasmette 2001 Odissea nello spazio sulle note di Così parlò Zarathustra, e sostituirsi al monolite, che nel film di Stanley Kubrick rappresentava il mistero, il rito, l’elemento fondatore della società dell’uomo. L’omaggio a Kubrick, già presente in altri film precedenti, in particolare in Sleepy Hollow, diviene dichiarato. La televisione, nuovo monolite nella società del simulacro, riduce e impoverisce profondamente l’immaginario umano. Il piccolo ragazzino tv sarà inglobato nell’immagine televisiva e condannato al rimpicciolimento.

Nel finale del film si assiste alla vittoria della morale borghese della famiglia, che può far pensare a un happy ending. Il mondo pieno di umanità dei parenti di Charlie sarà inglobato nella fabbrica, restituendo a questo luogo quell’umanità di cui sembrava inizialmente privo: il cerchio si chiude e tutto torna all’ordine, anche perché in precedenza Wonka si era riappacificato, sempre grazie all’aiuto del ragazzino, col padre dentista. Tuttavia il finale non cancella i dubbi e le perplessità che il film ha fatto nascere: siamo dunque lontani dal film natalizio come il precedente Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato di Mel Stuart del 1971. Il film di Burton si configura come un viaggio assurdo, folle e lucido, intrapreso all’interno della storia del cinema e i suoi modi di raccontare e raccontarsi.

 


La fabbrica di cioccolato
cast cast & credits
 



Johnny Depp
Johnny Depp

 



 







 
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