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Fringe Festival

Due ore d'angoscia


Gherardo Vitali Rosati
  Una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 24/08/2005  

Una forte attenzione alle musiche, alle luci, alle maschere e alla creazione di una suggestiva ma pesantissima atmosfera “da incubo” (come recita il sottotitolo dello spettacolo) sembra aver distolto il gruppo milanese del “Teatro della contraddizione” dal concentrarsi adeguatamente su due elementi di non scarsa importanza in teatro come il testo e la recitazione. Eseguendo un nuovo adattamento del testo di Marlowe, Marco Maria Lenzi e Julio Maria Martino hanno deciso di mantenere il linguaggio medievale, esasperandone i duri accenti e sottolineando le cadenze arabe e yiddish di mussulmani ed ebrei, cosa che rende evidentemente difficile la comprensione. Nel foglio distribuito all’ingresso con la calorosa raccomandazione che sia letto prima dello spettacolo si dice comunque che non bisogna preoccuparsi di capire le parole ma che è meglio lasciare semplicemente che queste arrivino.

 Il problema nasce dal fatto che gli stessi adattatori del testo, al momento in cui si fanno registi, scelgono di guidare gli attori verso una recitazione che anziché lasciare che il testo scorra ed “arrivi”, come si erano proposti, rende tremendamente pesante ogni parola, sottolineandone tutte le consonanti con una forza inutile alla comprensione e al contempo assolutamente incapace di suscitare il benché minimo coinvolgimento emotivo. Rimaniamo quindi distanti dalla rappresentazione che non riesce a colpirci né razionalmente né emotivamente, arrivando invece ad infastidirci per la sua estrema monotonia.

Gli attori sembrano fidarsi troppo delle loro solide maschere e non cercano mai qualcosa di autentico: non cambiano nel corso dello spettacolo, riducono i loro personaggi a pesanti stereotipi che pronunciano con lo stesso tono tutte le loro battute. Va comunque detto che la mole di lavoro a loro affidata è stata sicuramente ingente: ogni attore interpreta infatti più personaggi, arrivando ad essere quasi sempre presente in scena, per uno spettacolo che dura circa due ore. L’idea di fondo consiste infatti nell’analizzare i gruppi di musulmani, ebrei e cristiani che sono spesso presenti nel testo di Marlowe e di studiarne le differenze: si arriva a concludere che queste risiedano soltanto nelle apparenze che nascondono comunque persone uguali. Di qui la decisione di far rappresentare tutti i gruppi agli stessi attori che indossano di volta in volta maschere diverse e cercano diversi modi di muoversi.

 Peccato che i movimenti risultino sempre goffi e le differenze siano difficilmente percepibili, come pure le diverse maschere sono tutte molto simili cosicché i tre gruppi arrivano quasi a confondersi. Leggendo il solito foglio di spiegazioni si capisce che ogni religione dovrebbe avere il suo modo di muoversi, ma questo non appare assolutamente evidente. Ci sono effettivamente alcuni attori che riescono ad eseguire i pur studiati movimenti con estrema precisione, suscitando per qualche istante delle forti emozioni, ci sono anche degli attori capaci di togliersi la maschera e dar vita ad un’appassionante interpretazione, ma purtroppo da soli non riescono a migliorare le sorti dello spettacolo.

D’altra parte la principale preoccupazione della regia sembra risiedere nella creazione di un’atmosfera e bisogna dire che questo le riesce. La scena è effettivamente suggestiva, come lo sono le luci e le musiche, peccato solo che non varino mai, che mantengano sempre lo stesso cupo tono, senza che questo appaia giustificato dalla comunicazione di un contenuto.

 




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