Si può anche non scomodare il Dreyer della Passione di Giovanna d'Arco e di Dies irae, ma è evidente che nell'immaginario di Paolo Benvenuti, regista pisano, la lezione del maestro danese è assai forte, sia nella tematica della persecuzione inquisitoria sia nella rigorosa composizione dell'immagine, nell'austerità della messa in scena, nella fissità contemplativa delle inquadrature, nell'affidare al contrasto dei bianchi e dei neri, al gioco minaccioso delle ombre, alla pregnanza della parola e dei volti in primo piano la drammaticità del racconto cinematografico.
Del resto Benvenuti, un tempo assistente di Rossellini, abituato a "sottrarre" e a rarefare anche per la strenua indipendenza economica delle risorse, non ha mai negato le suggestioni della scuola nordica cosi come, da pittore e studioso d'arte, ha sempre evidenziato i propri prestiti figurativi dalla tradizione iconografica del Cinque e Seicento.
Come in una pala d'altare (parole sue), la storia sacra del Bacio di Giuda (1988) si è intrecciata con quelle "minori" di Confortorio (1992) e di Gostanza da Libbiano (2000), con una riflessione approfondita sul rapporto tra individuo e potere, coscienza e coercizione religiosa in contesti storici meticolosamente rivisitati attraverso documenti d'archivio: in Confortorio i tentativi di conversione forzosa alla fede cattolica di due ladruncoli ebrei nella Roma del Settecento, in Gostanza i verbali del processo a una presunta strega a San Miniato al Tedesco sul finire del Cinquecento. Con un'unica, serrata drammaturgia che mette in risalto, di fronte alle astuzie e alla violenza ammantata di pietà delle autorità che inquisiscono, la fragilità, le paure ma anche la fierezza dell'autodifesa delle "vittime" appartenenti a minoranze etniche (gli ebrei) o a generi e classi deboli.
Gostanza è una contadina sessantenne, vedova, vive di piccoli lavori marginali di guaritrice e levatrice: una zona d'ombra dove era facile, per calunnie o dicerie e magari con qualche buon tratto di fune, raccogliere prove di maleficio, di pratiche stregonesche, di contatti con il demonio.
Gostanza è donna sola - una sorprendente Lucia Poli, intensa, ieratica e carnale - e la paura del dolore la piega fino a farle confessare gli atti illeciti mai commessi, a sfoderare davanti ai giudici e allo spettatore un campionario immaginifico di fatture, venefici e festini sessuali nel regno sfavillante del Maligno, rimescolando le carte e le accuse nelle mani degli inquisitori fino a confonderli. Per la propria salvezza, ma anche per liberare almeno una volta la fantasia e i desideri di una femmina la cui povera vita di sposa bambina non aveva mai provato il fremito del piacere e la cui carne ancora tenera penzolava al soffitto denudata e offesa. Un oratorio laico che puù diventare un piccolo classico.
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