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Estremo simbolismo di un Boris sotterraneo

di Elisabetta Torselli
  Boris Godunov
Data di pubblicazione su web 22/07/2005  
Di questo Boris Godunov, il settimo nella storia del Teatro del Maggio dal 1940 ad oggi, ce ne ricorderemo a lungo per come la regìa di Eimuntas Nekrosius ha impegnato fino allo spasimo le facoltà e virtù ermeneutiche dell'ascoltatore-spettatore, impegnato a tentare di sciogliere la tessitura simbolica della messinscena, ardua, forse sovradimensionata, ma comunque misteriosamente comunicante. Questo protagonista del teatro contemporaneo ha fatto ritorno al teatro del Maggio Musicale Fiorentino, dopo il Macbeth del 2002 con cui aveva esordito nella regia d'opera, suscitando la stessa vivace battaglia tra dissensi e applausi, gli uni e gli altri altrettanto convinti e pugnaci. Lo si è dato nell'edizione musicale approntata da Pavel Lamm e nella versione oramai corrente, quella ampliata dallo stesso Musorgskij, con i due quadri dell' "atto polacco", la soppressione della scena VI di San Basilio della precedente versione originale in sette quadri che fu rifiutata dalla commissione dei Teatri Imperiali, e la scena finale della foresta di Kromij (mentre Rimskij-Korsakov, autore della "correzione-risistemazione" con cui e grazie a cui il Boris è stato universalmente conosciuto, tiene San Basilio e fa finire l'opera non nella foresta di Kromij ma con la morte di Boris, invertendo gli ultimi due quadri).


Boris Godunov


Non è piccolo titolo di gloria per il Teatro del Maggio l'aver fatto debuttare nella regia lirica un regista di questo calibro, però va detto che in questo spettacolo l'aspetto più sorprendente dell'invenzione lo propone stavolta Nekrosius jr, Marius, che firma le scene. Sullo sfondo campeggia infatti una straordinaria Russia del sottosuolo, miniera o tana, ramificati cunicoli sagomati come la tessera di un puzzle, mentre sopra, molto sopra, biondeggiano le messi di un campo e davanti, in primo piano, gli spazi-pedane su cui si muovono i personaggi al proscenio corrispondono appunto come nei puzzles a quei cunicoli sullo sfondo. Non solo, dunque, siamo lontani dalla luce, in una Russia underground, ma le passioni che illudono, agitano, divorano i protagonisti sono l'immagine riflessa di ciò che viene da quel buio, da quel sottosuolo, da quelle ossessioni.

Il lituano Nekrosius per cui probabilmente Russia significa oppressione non potrebbe fornire una lettura meno ottimista, più radicalmente intrisa del rifiuto del cconcetto - concetto 'sovietico'? o non piuttosto ottocentesco, anche dostoevskijano-tolstojano? - di una storia russa in cui il popolo sarebbe depositario di una qualche verità, o schiettezza, o forza. Tutto è minato da crudeltà e pazzia, da una sorta di cupa e coattiva banalità del quotidiano, il popolo non meno degli 'eroi', malvagi e santi. Un giovane folle che poco o nulla ha a che vedere con gli Innocenti di villaggio e di città, contadini o principi, della tradizione e della letteratura russa, si installa sotto il trono regale, le popolane lo pungolano dispettosamente con scope e forconi, attente solo a lui e del tutto indifferenti all'intronarsi di Boris nella piazza del Cremlino. Il monaco Pimen nelle pause del suo celebre racconto del terzo quadro va spidocchiando un suo servitorello. Chi controlla chi? Boris e gli altri sul proscenio sono legati ai fili che manovrano giovani donne in nero, monache o Parche, e monacelli, le stesse, gli stessi che poi spazzano, forse, la polvere, la cenere a cui tutta la storia si riduce, in una versione cupamente fatalista del "tutto scorre, tutto passa" di Eraclito, parco motto filosofico che è l'unica chiave di lettura che il regista abbia fornito o concesso a mezzo stampa.

Julia Gertseva (Marina) e Torsten Kerl (Grigorij)
Julia Gertseva (Marina) e Torsten Kerl (Grigorij)


Rami e tronchi che nel quadro dell'osteria al confine lituano gli emissari del potere incrociano in grate attorno ai fuggiaschi (forse è una prigione la santa Russia con le sue betulle), strani grandi fiori lignei, strane colonne di stoffa ruotanti e scampananti come la sottana dei dervisci in estasi nella scena dell'incoronazione, in cui Boris è solo nel suo mantello regale gnfiato dal vento, cavalli giocattolo, croci, specchi... forse c'è una certa sovrabbondanza di commento registico, di invenzioni di difficile decifrazione, di controscene, comunque di segni ed emblemi inquietanti: ricordiamo almeno i tre demoni-stregoni allegramente feroci che sono o sembrano un po' il doppio di Boris e alla fine si nutrono delle sue spoglie regali. Se ne resta disorientati, ma se ne subisce la forza teatrale, l'alta ambizione tragica, anche quando il nostro sforzo di decifrazione non arriva a tanto.

Dal canto suo Semyon Bychkov propone un Boris assai meno 'alieno' di quello di Nekrosius ma tutt'altro che incoerente alla chiave di fatalismo della regia: misurato, senza affondi apocalittici, felice nell'ampio e sciolto fraseggiare "alla russa", prezioso in qualche rara, più dispiegata ariosità (come la scena dell'osteria di confine), nella resa in orchestra dei colori musicali originali della partitura musorgskijana, tanto originalmente graduati. Il cast è complessivamente all'altezza del prestigio del festival ed è dominato dal Boris tutt'altro che statuario, ma dolente e intimista, di Ferruccio Furlanetto, la cui forza d'interprete fa passar sopra ad una certa inevitabile usura vocale, ed è infatti il primo Boris italiano ad apparire sui grandi palcoscenici russi. Torsten Kerl è un nobile Grigorij, ma non ha un valido contraltare femminile nella Marina alquanto algida e distaccata di Julia Gertseva. Continua a piacerci moltissimo lo Suiskij quasi espressionista di Philip Langridge, di grande interesse per vocalità e tratteggio del personaggio nel contesto di questa messinscena sia il Pimen più sciatto e meno solenne che l'Innocente in chiave più sorniona - ambedue, ci è sembrato, meno 'santi' e solenni del consueto - di Vladimir Vaneev e Evghenij Akimov; nel comparto femminile spicca la luminosa Ksenija di Julia Kleiter.




Boris Godunov
dramma musicale popolare in un prologo e quattro atti


cast cast & credits
 
trama trama


Foto in alto:
Philip Langridge (Suiskij) e
Ferruccio Furlanetto (Boris)

 



Ferruccio Furlanetto (Boris) e Tove Dahlberg (Feodor)
Ferruccio Furlanetto (Boris) e Tove Dahlberg (Feodor)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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