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L'amor nello specchio

di Cristina Jandelli
  Mullholland Drive
Data di pubblicazione su web 01/01/2001  
E' cinema alla Bu–uel, cinema felliniano. Ma la discesa nella rappresentazione del sogno - una sfida al cinema in se, che del sogno costituisce la variante meccanica - non è mai stata cosi conturbante come nell'ultimo Lynch. Mullholland Drive inscena la deriva postmoderna dell'immaginazione - e l'esaltazione dell'immaginario erotico maschile - con due sensuali donne-specchio che s'innamorano, con una notte metropolitana sprofondata in continui addormentamenti e risvegli, con un cadavere putrescente adagiato su un letto che sembra addormentato... Ma Mullholland Drive è anche il sogno di un regista, quindi una lucida autorappresentazione del suo autore. Che si porta dietro anche immagini ingenue come il paralitico che impartisce ordini schiacciato dal grandangolo in fondo a una stanza (Fuoco cammina con me) o la scatola-mcguffin smaltata di blu, il cabaret delle rivelazioni e ancora certi sghignazzanti omini miniaturizzati che ricordano il B-movie·

La parte più divertente, con i mafiosi che impongono la protagonista ai colletti bianchi della Major, resta quella del film da farsi: è il sogno ad occhi aperti, o meglio il rovesciamento parodico del vissuto attraverso gli occhi del cinema. Lynch mette in scena una Hollywood smaltata anni Cinquanta con un regista ostaggio della produzione, trasparenti a vista, starlettes pitturate e numeri da musical (un'ossessione dilagante, da Lar von Trier a Luhrmann): è il sottotesto su cui s'innesta il mistero noir con cui è partita l'azione - un delitto mancato, un incidente con diversi morti e successiva amnesia dell'unica superstite.

Verso la fine la scena di un omicidio, scoperta quasi per caso, si rianima per raccontare gli eventi a cui ha assistito; di qui in poi l'intreccio gradualmente precipita nel no-sense, la coerenza narrativa si sfalda e la trama comincia a ricomporsi ma disordinatamente, lasciando lo spettatore tristemente avvilito.

Non c'è alcuna coerenza nel sogno, insiste Lynch. I sogni zoommano sul più bello spalancando le porte con la forza del pensiero, e soprattutto sono ricorrenti, anche se presentano varianti: la scena dell'incidente notturno, la più immaginifica di Cuore selvaggio, viene qui riproposta nella versione accelerata dell'impatto, fulminea e raccapricciante. Attimi gelidi, con la protagonista che si alza barcollante; ma mentre si paventa che un altro cervello sgusci fuori dal cranio, questa vittima si è fatta solo un graffio. Poi perde la memoria e la ricostruzione del mistero sembra far ripartire il film da Twin Peaks, dove però la dispersione del racconto consentiva di riunire nel cast tante donne diverse, tutte bellissime e glamour.



Mullholland Drive è nato invece dalla costola di un pilot scartato e può essere perciò considerato una serie mancata; il suo distillato è un film con due sole protagoniste che incarnano l'essenza del desiderio: una bruna procace, sensuale e misteriosa; l'altra scattante, generosa, razionale e bionda. Ma invece di contendersi lo stesso uomo, finiscono per innamorarsi; è la gelosia il vero movente del delitto·

Mullholland Drive è l'esito maturo delle precedenti esperienze di Lynch. Los Angeles vi è rappresentata come un universo chiuso e asfittico quanto quello di Twin Peaks, la cittadina immaginaria geograficamente e antropologicamente distante dalla città californiana che qui si pone come l'epicentro della tessitura visiva; la capitale del cinema del Duemila incombe su questo sogno-incubo come i set di Cinecittà in Otto e mezzo: Mullholland Drive è l'Otto e mezzo di Lynch, un concentrato di sapienza e invenzioni registiche che giustifica la Palma d'Oro per la miglior regia vinta a Cannes e la candidatura all'Oscar sempre per la regia.


Mullholland Drive
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