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Dalla Russia con...

di Sara Mamone
  Saison Russe
Data di pubblicazione su web 15/07/2003  
La saison russe che il Ravenna Festival ha presentato quest'anno ai suoi spettatori è un esempio quasi perfetto di scelta "da festival". Non perché il risultato sia perfetto o perché le realizzazioni siano memorabili ma, al contrario, perché è tutto curioso, spiazzante, discutibile e nuovo. Perché forse nessuna programmazione normale potrebbe permettersi di monopolizzare tre serate consecutive con spettacoli d'opera russa del Novecento, presentati da una compagnia in odore di moda presso i più informati globetrotters della lirica ma non certo entrata nella conoscenza dello spettatore comune, e per giunta in russo e (ma forse questo è un cimento eccessivo anche per un festival) senza i sottotitoli. Eppure la scelta coraggiosa vale il viaggio ravennate. Lo ripetiamo, lo vale per le curiosità che mette in moto, per le molte sorprese che porta ai più esperti ed avvertiti spettatori, per lo stupore e l'irritazione che può portare agli altri, anche per quel sottile sospetto di goliardia che informa di tanto in tanto il fuoco pirotecnico delle invenzioni registiche.

Sono andati in scena (replicati rispettivamente il 15 e 16, il 13 e il 17, il 12 e il 18 luglio alle 20,30 al teatro Alighieri) Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, di Dmitrij Shostakovic, nell'edizione originale del 1932, La dama di picche di Piotr Il'ic Caikovskij in una versione basata su annotazioni originali dell’autore, Mavra di Igor Stravinskij e, in prima edizione assoluta in Italia, Kashej l'immortale di Rimskij-Korsakov.


Una lady Macbeth del distretto di Mcensk


Un poker scelto con attenzione nella ricca produzione del Teatro Helikon di Mosca, collettivo fresco e dinamico, ensemble affiatatissimo al quale si addice come non mai il titolo di teatro d'opera. Poiché quello che questo gruppo fa, con un'orchestra agile e affiatata, sotto la guida attenta ma non certo ingessata di Vladimir Pon'kin, è vero e proprio teatro in musica, grazie anche alla personalità del fondatore, il regista Dmitrij Bertman che ha impresso alle sue regie (ormai famose dopo un decennio di tournées all’estero) un piglio forte e non soggetto al dominio musicale. I suoi allestimenti sono letture nuove, forse a volte un po' sovreccitate e provocatorie, di opere per noi non consuete, ma che fanno certo parte del bagaglio dello spettatore russo al quale forniscono l'imprevedibile pendant di esecuzioni certo più ortodosse a portata di mano. Ed è un’altra ottima ragione per questa scelta da festival.

Lo spettatore è immerso nel dinamismo a volte frenetico della società russa contemporanea che vuole cambiare rispetto ai suoi classici allestimenti da esportazione e lo fa presentando i campioni di quel rinnovamento che portò prodigiosamente la Russia in meno di un secolo da una sorta di analfabetismo operistico (quanto meno da un debito imitativo totale verso l’opera occidentale) ad una fioritura smagliante di geni che trovarono la forza del rinnovamento proprio nell'humus della tradizione autoctona rivisitata.


La dama di picche


Lo spettatore si trova così dinanzi ad una cultura che fa doppiamente i conti con se stessa: gli autori del rinnovamento attraverso il recupero della tradizione popolare, i nuovi interpreti attraverso il desiderio di rivedere quelli che per loro sono i padri consacrati da una tradizione interpretativa ormai accademica per inserirli gioiosamente nel vento turbinoso di un aggiornamento interpretativo.

L’operazione è evidente in tutte e tre le serate che, sebbene pienamente autonome, hanno il loro maggior interesse non tanto nella sottile tessitura di rimandi interni quanto nella più ampia concatenazione dell'intero ciclo. E così anche il giudizio si fa più complesso di sera in sera, articolandosi sempre meglio. Nel bene e nel male. Se infatti in tutte le opere gli interpreti sono ampiamente a posto da un punto di vista vocale (segnalerei con particolare piacere il bel timbro caldo e pieno di Larisa Kostuk, Dama di picche di stordente e inattesa bellezza e giovinezza, e diva quasi tecno nel racconto autunnale di Rimskij-Korsakov), il gran lavoro strumentale (coordinato da Vladimir Ponkin) risulta sempre più soggetto alla regia e, ancor prima, alla drammaturgia, nella quale il regista e i suoi compagni intervengono ampiamente con una sorta di allegra iconoclastia che, non sempre condivisibile, segnala progressivamente il desiderio di aggiornamento e di novità rispetto alle proprie tradizioni anche registiche.


Mavra


Se infatti le tracce della revisione mejercholdiana della commedia dell’arte sono più che evidenti nell'allegra opera buffa di Stravinskij - che più di tutte fa sentire i palpiti di una ruralità altrove soffocata (personalmente pur riconoscendone l'ingegno e la fantasia non abbiamo amato l’ammodernamento della Lady Macbeth che le ha levato la tragica potenza contadina in un accumulo di invenzioni registiche un po' da campionario) - non c'è dubbio che gli interventi sulla Dama di picche vanno al di là della regia configurandosi come una vera e propria revisione drammaturgica.

Tutto è però logico e conseguente: il rispetto della partitura concede spazi molto (a volte troppo) ampi alla regia, mentre quando l'intervento drammaturgico si fa più marcato la regia non si impone allo spettatore, anzi pare imporre agli artisti una sorta di discrezione. L'esempio più interessante è proprio nella Dama di Picche, così rimaneggiata da costituire una sorta di abregé di quella originale (infatti viene presentata come un gioco di carte con intermezzo). Non c'è più il Grand Opéra, tutto è anzi ridotto all'essenzialità di una scena unica, sobria, con il fulcro catalizzatore di un tavolo da gioco e il senso del tempo fin troppo scandito da una pendola in proscenio.Via le bambinaie e i bambini, via i ragazzini, via la zarina e persino Polina la cui significativa romanza, che per prima introduce le lugubri visioni di morte nella giocondità esibita, è affidata invece alla Contessa. Tutto si gioca, è il caso di dirlo, attorno al tavolo da gioco, dove la contessa è sempre presente, non vecchia dal passato sconosciuto ma giovane, splendida incarnazione di un eterno femminino che attraversa i secoli (e in questo senso assume un valore epifanico l'inserimento apparentemente anacronistico della memoria dei suoi amori che coprono due secoli, quasi a precorrere l'atemporalità di Orlando di Virginia Woolf), inafferrabile, invincibile come la passione del gioco. Mentre l’amore per Lisa impallidisce nella mediocrità della sua fragile inesperienza i due demoni potenti dell'amore e del gioco si accampano sulla scena a scandire la loro eternità rispetto al tempo misurato e limitato del reale.


Kascej l'immortale


Meno compiuti e riusciti gli azzardi della terza serata, non tanto nella ruralità parodica e primigenia del breve scherzo di Mavra, quanto nel più presuntuoso e irrisolto, in fin dei conti ingenuo, tentativo di dar forme avveniristiche alla atemporalità della fiaba di Kascei, la più russa delle fiabe russe, con aggiornamenti in stile guerre stellari francamente stridenti, imbarazzanti, insomma brutti e inopportuni per il nostro occhio "occidentale" ormai saturo di queste immagini. Ma forse efficace e pertinente nel tumulto sperimentale di una compagnia che ha certamente allargato l'orizzonte del proprio pubblico con l'affiatamento del suo ensemble e con i suoi cantanti prodigiosamente attori.

Saison Russe - Ravenna Festival 2003

Lady Macbeth del distretto di Mcensk
cast cast & credits
 
trama trama
La dama di picche - gioco di carte con intermezzo
cast cast & credits
 
trama trama
Mavra - opera buffa in un atto
cast cast & credits
 
trama trama
Kascej l'immortale - parabola autunnale in un atto
cast cast & credits
 
trama trama




 




 




 





 





 


 
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