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Otto

di Gabriella Gori
  Otto
Data di pubblicazione su web 23/01/2003  
Nel grande contenitore che è diventato oggi il teatrodanza, termine coniato sul novecentesco Tanztheater ma ormai in grado di accogliere eterogenee forme di spettacolo, Otto dei Kinkaleri si è guadagnato un posto di rilievo e l'ambitissimo Premio UBU 2002. Penultima tappa di una trilogia, iniziata dalla compagnia fiorentina nel 2001 con My love will never die, Otto ha il merito di aver ottenuto l'UBU quando era ancora un lavoro in work ing progress e si presentava in forma di sette studi alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna, al Teatro Fabbricone di Prato e in Festival nazionali. Conclusosi "casualmente" all'ottavo, la produzione ha debuttato nella sua veste definitiva, ispirata ad un testo di Louis Wolfson, in prima nazionale al Teatro Studio di Scandicci. E se con My love will never die i Kinkaleri svuotavano di senso la rappresentazione, con quest'ultimo spettacolo il sestetto va alla ricerca del latente e contraddittorio meccanismo che sottintende il 'rappresentato', e dalla contaminazione dei generi approda al confronto/scontro di linguaggi e stili differenti, collocandosi al di fuori da rassicuranti settori come il teatro e la danza.
kinkaleri



E non è un caso che emblema di Otto sia il vuoto di uno spazio scenico che via via si riempie di personaggi e oggetti alle prese con un'invincibile forza di gravità che li porta a cadere in quel vuoto che poi si rivela essere, paradossalmente, "l'unico posto dove stare" ed esistere. Le cadute, reiterate all'infinito dai quattro protagonisti, rappresentano il collante di uno spettacolo incentrato sulla ripetizione e la variazione di gesti di ogni giorno, sull'utilizzo delle più disparate cose di uso comune, su entrare e uscite apparentemente casuali, su comiche alla Buster Keaton, su non sens alla Beckett, su una colonna sonora fatta di silenzi interrotti da rumori, echi, tonfi, canzoni, brusii, spari. Da dietro il fondale un uomo appare più volte, avanza sulla scena, cade sul pavimento, si rialza, crolla di nuovo schiacciando il viso su una cremosa torta, spruzza del deodorante, cerca invano la stabilità e l'equilibrio in una condizione umana sempre più precaria.

Unico spiraglio di luce, una rassicurante figura femminile che ascolta dalla cuffie Can't get you out of my head di Kylie Minogue e con grazia ne asseconda il ritmo. Il flessuoso corpo sembra sfidare, nelle leggerezza di passi appena accennati, la forza di gravità ma casca anche lui nell'impossibilità di fissarsi nella mente dello spettatore. All'improvviso un altro personaggio attira l'attenzione quando con del nastro bianco incomincia a segnare sul pavimento rette e diagonali, che percorre come un acrobata finendo però a terra, o con delle lettere delimita spazi. Insofferente mima allora con un microfono atteggiamenti da star ma perde l'equilibrio e si ritrova disteso. Cerca allora un luogo sicuro e monta una tenda, si rifugia dentro ma, una volta fuori, il vuoto lo inghiotte.

kinkaleri

 


La figurina deliziosa intanto riconquista lo scena e in omaggio alla danza esegue degli energici piqués in diagonale mentre un giovane in costume da bagno tenta invano di stare in piedi, stramazzando anche lui al suolo in un ennesimo capitombolo. Leitmotiv dello spettacolo, le cadute provocano all'inizio un certo disagio ma, a poco a poco, lasciano il posto a risate liberatorie che sdrammatizzano quello "straniamento" che nasce dal vedere rappresentato, come se fosse normale, ciò che è "strano" come i crolli rovinosi e ripetuti. Senza dubbio Otto dei Kinkaleri ha qualcosa in comune con le pièce di un coreografo fuori dalle righe come il francese Jérome Bel, artefice di una danza corrosiva e di un problematico rapporto fra artista e spettatore. Tuttavia i componenti della compagnia fiorentina si differenziano per la singolare capacità di dare senso a ciò che è banale e comune. E se sono immuni da qualsiasi seduzione coreografica tuttavia, nell'inclinazione a riconsiderare "l'atto stesso del danzare", accolgono il movimento come elemento portante di quella particolare mise en scène che è la loro visione della realtà, tratteggiata con sapiente ironia.

Otto
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