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Un'apocalisse

di Roberto Fedi
  L'apocalisse - Rai Uno Richard Harris
Data di pubblicazione su web 12/12/2002  
'Apocalisse' è parola greca che significa propriamente 'rivelazione'. È anche il titolo dell'ultimo libro della Bibbia, che contiene le talvolta impenetrabili profezie (rivelazioni, appunto) sulla consumazione del mondo e il secondo avvento di Cristo. Stando alla tradizione cristiana, il libro è da attribuirsi a Giovanni evangelista, che lo avrebbe scritto nell'isola di Patmos, intorno agli anni 94-95 d.C., al tempo delle persecuzioni dell'imperatore Domiziano. Propriamente, il testo si presenta come una lettera alle sette chiese dell'Asia Minore (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea) e rappresenta un dramma: quello del mondo nuovo che avanza e del vecchio mondo che gli resiste, e che in fine si apre ad un grido di liberazione dei redenti che, dopo la lotta, godono della vittoria eterna di Dio, l'Agnello che sconfigge la Bestia.

Il testo è profetico e visionario, quindi oscuro. Le visioni di Giovanni si materializzano in animali orrendi e terrificanti profezie. Da qui, anche, il transito semantico della parola, che spesso è portata oggi a significare l'equivalente di una catastrofe. Come fosse possibile, da questo testo, ricavare uno sceneggiato o film televisivo è il caso di dire che Dio solo lo sa.

In questo caso, l'équipe che ha manipolato il testo (Gianmario Pagano che ha scritto il film, Francesco Contaldo, Raffaele Mertes e lo stesso Pagano che l'hanno sceneggiato) ha messo in scena la verosimile situazione storica, insomma la 'cornice': i Romani e i Cristiani, cioè i persecutori e i perseguitati. Con alcune figure 'di mezzo': un soldato che scopre di avere i veri genitori cristiani e che entra in crisi (il Tasso aveva fatto di meglio, francamente, con Clorinda), una bella fanciulla che non guasta mai (Irene: Vittoria Belvedere), le chiese che ricevono le lettere di Giovanni, creduto morto e invece, nonostante tutto, vivo seppur prigioniero nella miniera di Patmos; con anche un tentativo di fuga 'western' dei cristiani dalla prigionia. Le visioni sono come sogni, che Giovanni subisce con espressione comprensibilmente attonita e stupefatta, e a bocca aperta. Qualche volta sembra di essere nell'aldilà dantesco. Molto fumo, nebbia, fuoco. Si poteva fare di meglio, anche come effetti speciali. Ma almeno, nelle visioni di guerra, le svastiche, le bombe e le Torri gemelle potevano risparmiarsele.

In questi casi ciò che distingue gli sceneggiatori bravi da quelli televisivi è la necessità, che questi ultimi inevitabilmente sentono, di 'bignamizzare': insomma di dare, rapidamente, informazioni allo spettatore, senza le quali questi capirebbe poco. Insomma di essere didascalici, di spiegare tutto. Così qui, ad esempio, un perfidissimo Domiziano rapidamente serve, all'inizio, a mettere al corrente sulle persecuzioni; la bella figliola Irene "con gli occhi di cerbiatta" (così una volta, quand'era bambina, Giovanni le disse vedendola per caso e stringendola a sé: no comment) aiuta a capire il dramma dei perseguitati e la certezza delle fede; le visioni sono spiegate da un gentile personaggio in bianco, nel caso che qualcuno avesse dei dubbi (è la più risibile manipolazione del testo: che è invece volutamente oscuro come è d'obbligo nelle profezie, e da qui trae la sua suggestione); un bambino è utilizzato per far sì che il padre, premuroso, chiarisca chi è Giovanni e chi sono gli apostoli, nel caso che qualche minus habens non lo sapesse; eccetera eccetera. Inutile dire che i cattivi sono cattivi sul serio, e anche un po' depravati; e che i buoni sono di solito anche belli, pettinati, e ben truccati.

Il regista, Raffaele Mertes (anche co-sceneggiatore) è lo stesso del disperante Carabinieri, da noi già servito come meritava; la produzione è del gruppo che fa capo a Ettore Bernabei, e che già aveva prodotto altri episodi dalla Bibbia. Inutile rilevare i movie mistakes, che ormai sono d'obbligo anche nelle produzioni maggiori (qualcuno ha fatto notare ad esempio che il filo spinato, dietro cui soffrono i prigionieri, è stato brevettato nel 1874). Risibili alcuni passi della sceneggiatura ("Giovanni ha avuto un'altra visione?", chiede la fanciulla all'amico, con la stessa espressione con cui chiederebbe se ha ancora mal di testa). Il cast è internazionale, ma non per questo meno provinciale. Spicca ovviamente Richard Harris, di cui questa è una delle ultime interpretazioni. Spunta anche, con la stessa barba curatissima con cui compare a Domenica In (non si è neanche truccato, insomma), Paolo Villaggio, che interpreta un cristiano capo di una comunità di perseguitati, e che a dispetto del testo e della drammaticità che si vorrebbe dare all'insieme è identico, voce compresa, al Fantozzi televisivo (e a dirla tutta non si è mai visto un perseguitato così ben pasciuto). Un'apocalisse: questa volta nel senso corrente, e non in quello etimologico.



San Giovanni

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