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Pallottole spuntate

di Roberto Fedi
  Giulio Scarpati, Carlo Cecchi
Data di pubblicazione su web 27/02/2003  
Se era un modo per dimostrare l'inefficienza dei carabinieri ci sono riusciti di certo. Ci riferiamo al film Tv in due puntate L'ultima pallottola (lunedì 24 e martedì 25, Canale5), che ha messo in scena con varie libertà ma lasciando inalterata l'ambientazione il caso del serial killer Bilancia, che proprio a Genova 'operava', e che fu catturato dopo una scia di sangue, come in questo caso dicono i giornali, di oltre una dozzina di delitti. 

Qui si immagina che il capitano dei carabinieri Giulio Scarpati ritorni a Genova per occuparsi del caso del killer, che uccide sempre col solito rituale: il capo delle vittime avvolto in un panno, e un colpo di pistola nella nuca. Naturalmente - ci mancherebbe altro - il capitano ha un passato: una sorella, morta per overdose e mai dimenticata, che è poi la ragione per cui costui se n'è andato da Genova e neanche vuole tornare nell'appartamento d'un tempo (si sa, troppi ricordi), preferendo dormire su una branda nella foresteria dei carabinieri. Sarà per quello che il poveretto è così nervoso: tratta male tutti; non si fa la barba; è sempre allucinato; non dorme la notte o al massimo si fa un pisolino sulla scrivania. Una vitaccia.

Nel frattempo il killer continua a far fuori gente, indisturbato. La città è sotto choc. Nessuno è tranquillo. Di fronte a questa apocalisse la squadra investigativa è costituita dal capitano che ormai dà i numeri e quasi malmena il procuratore (lì avrebbe fatto bene: trattasi di una signora che più incapace non si potrebbe), e da tre carabinieri, uno dei quali così imbranato da aver spifferato tutto al primo che passava svelando i piani investigativi ai giornali. Andiamo bene.

Facciamola breve: una pizza, senza tensione né ritmo. Genova, che è città di anfratti segreti, di porto, di salite e carrugi è qui uno sfondo senza valore; le motivazioni psicologiche sono elementari; il noir che il film avrebbe potuto essere si trasforma subito in un grigio molto, molto slavato.

Scarpati è ahimè sempre lo stesso (anche come acconciatura) sia che reciti in Cuore o in serial famigliari. Mai si è visto, neanche nelle fiction comiche, un capitano dei carabinieri così nevrotico, urlante, esagitato: modalità che, secondo la regia e secondo lui, avrebbero dovuto evidentemente essere il 'segno' del dilaniamento interiore. E con una barbetta così sgraziata (anche questa un 'segno', evidentemente), da Serpico dei poveri, da essere tentati di offrirgli in omaggio una confezione a vita di Gillette.

Il bello è che il killer fa di tutto per farsi prendere: fino ad andare al Comando dell'Arma di persona a recapitare una lettera (e anche qui: se siete mai andati dai Carabinieri, anche per una banale informazione, sapete che come minimo vi hanno preliminarmente identificato - a Genova si vede di no). Tutto questo, per gli autori, significherebbe la voglia inconscia del killer di farsi comunque trovare, per mettere fine ai delitti.

E invece nel film tutto questo ottiene solo l'effetto di far nascere seri dubbi sull'efficienza di quattro investigatori che non sono neanche capaci di far fermare un treno (ennesimo delitto), individuano il killer e lo pedinano per un'ora di film senza fermarlo, organizzano una trappola (ma perché se sanno benissimo chi è, dove abita, come si chiama, anche che DNA ha?) in una bisca clandestina tutta da ridere, e poco ci manca che fanno ammazzare anche la procuratora che - questa poi è da sballo - si è improvvisata detective, si è finta prostituta, e naturalmente si è fatta riconoscere subito. Non è l'unica cosa comica: basti dire che il capitano (faccia nota in tutta Genova: con quella barbetta, poi) per non farsi riconoscere si fa chiamare in codice Lupo.

Insomma. La fiction Tv è deprimente. Questi qua (Rai o Mediaset cambia poco) non sanno fare film biografici, né agiografici, né polizieschi; non li sanno ambientare in città, né sulle piste da corsa, né nelle paludi, né in Vaticano; sanno trovare solo attori che strillano, non si fanno al barba e non si pettinano se vogliono sembrare tormentati, o vanno dal parrucchiere se vogliono apparire sereni. E che quando non sanno che pesci prendere, per rendere l'angoscia, fanno piovere.

Con un'eccezione, a dir poco luminosa. Carlo Cecchi, che qui impersona il killer: un attore da Oscar, con una voce da Oscar, con uno sguardo e una presenza da Oscar, con gesti da Oscar. Eccezionale. Un piacere vederlo. Talmente bravo che viene quasi spontaneo, nel film, fare il tifo per lui. Peccato che debba girare con questi registi. In una recente intervista ha detto che preferisce fare il teatro, e che la televisione gli piace poco. Parole sante.


L'ultima pallottola

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