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Una questione privata

di Roberto Fedi
  Giovanni Floris
Data di pubblicazione su web 08/03/2003  
Ci sono trasmissioni alla Tv che sembrano fatte in fotocopia. Per esempio, tutte le trasmissioni sportive: nelle quali si parla, sempre e più di sempre, di arbitri, di allenatori, di risultati prevedibili e previsti, di moduli di gioco. Chi le segue avrà notato che sono più importanti le previsioni, i pronostici, il modulo (numeri, numeri…), i pettegolezzi, e poi le discussioni interminabili se era o no rigore, se lo schema era adatto, se poteva finire 3 a 2 o 4 a 1 e così via, che non ciò che effettivamente è accaduto.

Qualcosa del genere, anzi di quasi uguale, è quello che si è visto martedì sera 4 marzo a Ballarò (Raitre), che già dal titolo almeno a noi fa venire in mente balletti, giri di valzer, tanghi, polke, mazurke e vai col liscio che non una stringente trasmissione su qualche aspetto della nostra realtà. Ballarò, il cui nome una volta sapevamo interpretare ma che è così criptico che ci è sfuggito di mente (ci stiamo immedesimando in questo momento in uno spettatore che non necessariamente deve essere un filologo dei palinsesti) è condotto da Giovanni Floris, che è sicuramente bravo - lo crediamo sulla parola - ma non ha né piglio né appeal televisivo: anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, risulta lento e noioso. La formula è sempre la stessa: ospiti in studio, interviste filmate, discussione. Sai che novità.

L'altra sera si parlava di Rai: anzi, della crisi della Rai. Erano ospiti, oltre agli esponenti dei partiti (e altri se ne sono sentiti nelle interviste filmate), un po' di giornalisti: Enrico Mentana, Bruno Vespa, una del "Manifesto"; e poi Giovanni Sartori, di professione politologo (e qui, come per "Ballarò", qualcuno un giorno o l'altro dovrebbe spiegare al telespettatore normale che diavolo voglia dire).

Già così la questione, secondo il nostro modesto parere, è male impostata. Insomma: sarebbe come se della crisi della Fiorentina (forse qualcuno ricorda una squadra di calcio che si chiamava così, temporibus illis) fossero invitati autorevolmente a parlare un po' di quelli che l'hanno affossata, e magari il presidente dell'Inter (la concorrenza). E per contorno un paio di giornalisti sportivi di Roma e di Torino. Che volete che ne esca? parole in libertà, a dire poco. Al massimo, qualche misterioso schema di gioco: 4+1, 3+2, 1+4 (non è la stessa cosa di 4+1), 2+3 (non è la stessa cosa di 3+2)… Da giocare al Lotto, al massimo.

Poi immaginiamo che si facessero vedere un po' di interviste: al cosiddetto uomo della strada (che di solito viene sempre citato come se fosse l'uomo di Neanderthal o delle Nevi: insomma, un mito), ai tifosi della Curva Sud, a quelli della Curva Nord, a quelli dei Distinti. Poi all'allenatore della Juventus e a quello della Roma, magari. E a quello della Fiorentina, depresso. E a un paio di supertifosi storici, amici del Presidente, che magari si arrabbiano e dicono "io sono della Fiorentina da 40 anni e mezzo e questa squadra me la sento dentro…". Con qualcuno che dice "era meglio l'allenatore dell'anno scorso…". E il pubblico che applaude a tutta birra o fischia a seconda che parli un supertifoso o un avversario. Un po' di moviole e di filmati di repertorio: un bel gol d'una volta, una papera storica, un rigore sacrosanto e negato, un altro inesistente e concesso… Insomma, lo stadio trasferito alla Tv. Mentre nella sceneggiata l'arbitro, impotente, non trova di meglio che fare delle risatine.

Onestamente: chi guarderebbe una trasmissione così? a cosa porta? a che serve? cui prodest? (come direbbe un tifoso che ha fatto il liceo). Non ci crederete: il Ballarò dell'altra sera era così. Con Bruno Vespa arrabbiato che diceva "io sono alla Rai da 40 anni e mezzo…"; la giornalista del "Manifesto" che sembrava una supertifosa della Juventus (avversaria storica della Fiorentina buonanima); Mentana che se la rideva; il Sartori che se la rideva e pontificava (lui fa il tifo per le squadre estere); il senatore Schifani che minacciava querele; il pubblico che urlava; anzi, tutti che urlavano e non si capiva un accidente - insomma, il Biscardi style. Ogni tanto davano i numeri: che sono quelli di cui sopra, e che riguardano le previsioni non del Superenalotto ma della composizione del Consiglio di amministrazione della Rai. E alla fine, come sempre, tutti o quasi amiconi come prima.

L'impressione era la stessa che ci fa la sigla Ballarò: qualcuno da qualche parte saprà anche che diavolo vuol dire, ma noi no. Ce lo siamo dimenticato; ci è sfuggito; e, alla fine, non ce ne interessa un bel nulla. È una questione da iniziati. Il resto del mondo non è necessario che sappia. Come quella della Rai, di cui la trasmissione dell'altra sera era lo specchio esattissimo. Una questione privata in una rete pubblica. Onestamente, avremmo preferito il contrario.



Ballarò

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