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Ombre

di Roberto Fedi
  Vite violate
Data di pubblicazione su web 16/03/2003  
Le ombre si staccano nello schermo blu scuro; i tagli di luce sono decisi ma non violenti, e quasi le accarezzano; decentrate sullo sfondo, le luminescenze le avvolgono, lasciano intravedere mani, capelli, figure in piedi o sedute. Le ombre sono interrotte, ogni tanto, da immagini notturne di onde che scivolano su una spiaggia; da lente riprese di periferie degradate e piovose, ma non aggressive: piuttosto penose, dolorose, virate in colori scuri e rossastri; da voli di gabbiani azzurri in un cielo blu opaco, su mari che si immaginano solitari e pieni di notte.

Le ombre parlano. Lentamente, pianamente, quasi in sussurri. Raccontano con voci senza dramma e senza concitazione di storie devastate, orrende, inascoltabili. Sono quasi sempre immobili. Non piangono, non urlano, non singhiozzano mentre ripercorrono anni o mesi di violenze, stupri, schiavitù, paura, solitudine, assenza di qualsiasi umanità. Riferiscono con toni di cronaca verghiana di giorni disperati e di notti maledette, in campagne oscenamente ridotte a discariche, in strade freddissime, con uomini senza volto e senza nessuna pietà, sconosciuti, accomunati solo dalla casualità e dall'assenza di qualsiasi umanità. Sordi alle lacrime, ignari della disperazione. Gratuitamente, stupidamente violenti.

Le ombre si sono materializzate sabato 15 marzo su Raitre, alle 23.20, in un eccezionale film-inchiesta di Loredana Dordi, Vite violate (la seconda parte sabato 22). Perché si può raccontare la violenza e la schiavitù in molti modi, e spesso è stato fatto in programmi televisivi e in servizi giornalistici anche meritori. Ma non ci era mai accaduto di vedere queste storie raccontate così: con questa bravura, con questo rispetto, con questa capacità di restituire a un fatto la sua tragicità e la sua dolente umanità.

Le ombre sono donne, tutte giovani (una di quindici anni e mezzo), che si raccontano. Sono arrivate in Italia dall'Ucraina, dalla Moldavia, dalla Nigeria. Sono prostitute e schiave. Parlano di sé come lo farebbe un grande scrittore, o un grande drammaturgo. I loro sono monologhi detti con voce quasi sempre ferma, ma dove il dolore esce da tutte le parole, da tutte le pause, da tutti i toni. Sono la materializzazione del verismo: il punto di vista dell'oggettività, l'assoluta trasparenza dell'oggetto del racconto, la realtà che si fa parola senza nessun orpello, nessuna mediazione, nessuna retorica.

Le ombre parlano senza aggettivi, con semplicità, con accento italianizzante e inflessioni pacate, qualche volta stentate e con fatica, qualche altra volta in modo più fluente. Dicono dei loro inferni, dei loro numerosi Auschwitz. Ma sempre in sottotono, in una monotonia o monotonalità da allibire. E i racconti sono tutti uguali e tutti diversi, non hanno nulla della drammaticità romantica o romanzesca, e nemmeno di un maledettismo di comodo. Non parlano di avvenimenti, ma dei loro pensieri, del freddo, della paura, del battito convulso del cuore. Non c'è voce fuori campo, perché il narratore, come in Verga, è scomparso dalla scena, lasciando lì solo le sue figure senza mistificazione e senza storia. Sole, in un taglio di luce.

Le ombre usano parole semplici ma intrecciate in grumi di vita sanguinosi, come nei grandi testi delle grandi tragedie storiche. Dicono "la mia vita", dicono "paura", "freddo", "pioggia", "botte", "sola", "lacrime". Ripetono tutte che non capiscono chi sono, là sulla strada: come se fossero non loro, ma altre personae quelle che oltrepassano il profondo della notte. Compongono un oratorio sulla morte e sul disincanto, sul dolore e sulla solitudine, sulla mancanza di pietà e sul desiderio di pace. Sulla dignità. Non hanno accenti di rabbia verso nessuno, nemmeno verso i loro torturatori. In sottofondo, le musiche di Bach e Mozart ci fanno capire che quei racconti fanno parte di una moderna storia della Pietà.

Vite violate è un testo televisivo bellissimo. Da far vedere nelle scuole, se la scuola oggi avesse un decoro in questo paese. Da replicare. Da trascrivere e da far recitare in teatro. Da citare, d'ora in avanti, insieme ai grandi testi sull'umanità violata di questo e dell'altro secolo, alla pari di Se questo è un uomo.



Vite violate

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