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Levateci il medico di torno

di Roberto Fedi
  Il cast
Data di pubblicazione su web 18/03/2003  
Secondo quanto ha dichiarato uno degli interpreti dei telefilmetti di questi giorni (ce l'ha segnalato una gentile lettrice), le ragioni per cui gli spettatori in Tv si affezionano a medici e preti è che sono personaggi di cui è facile fidarsi, tranquillizzanti, insomma che gratificano. Da qui l'alluvione di tonache e camici che inonda le sere del cittadino-spettatore.

La questione è seria. Ammettiamo che le cose stiano veramente così. Significa allora che l'Italia è un paese che ha bisogno di conforto come dell'ombra d'estate o del caldo d'inverno, o come Linus della coperta: infatti non si può accendere la Tv che non ci arrivino addosso tonache e camici come se piovesse. Non è molto consolante, si ammetterà. Vuol dire che le parrocchie e i confessionali, vuoti e desolati, sono surrogati dalla Rai e dai suoi programmisti, o addirittura che Viale Mazzini (sede Rai, com'è noto) è diventata una grande Parrocchiona che tutti accoglie (beh, quasi tutti): sinite pueros venire ad me (Luca, XVIII, 16). Oppure che la gente (anzi, la gggente) si sente così poco protetta dai medici dell'ASL da mangiarseli con gli occhi quando sono in televisione, siano il dottor Manson delle miniere, quelli del pronto soccorso, o quelli in famiglia. Andiamo bene.

Il medico è tornato puntuale domenica, ovviamente in famiglia: Raiuno, ore 20.40. È quello che il Tg1 delle 13 del giorno dopo ha definito "programma di culto". Ha anche intervistato Lino Banfi, che ha rivelato come molte persone gli scrivono ringraziandolo, perché ha riportato all'attenzione del mondo il problema dei nonni (addirittura uno - ha rivelato l'attore, commosso - gli ha scritto che si è riportato anche il padre a casa, e l'ha ribattezzato in suo onore Libero: se è vero, è un bel documento per chi studia le deformazioni che la Tv opera sulla psiche dei più deboli). Giulio Scarpati, il 'medico in famiglia' DOC, che probabilmente di quella sceneggiata non ne poteva più, si immagina che sia partito - secondo noi è fuggito - per l'Australia. Gli è subentrato Pietro Sermonti, che arriva al posto del buon dottore all'ASL e finisce per sostituirlo anche in casa; anzi, in quella specie di falansterio che è la famiglia del nonno Banfi, mentre una fanciulla (figlia ventenne del dottor Scarpati) si innamora pazzamente eccetera eccetera. Nel frattempo i nipoti del Banfi (sia di figlio che di figlia) ne combinano una dietro l'altra, ma sempre senza cattiveria (che diamine, questa è una sit-com, mica la realtà).

Appunto. Qui la sit-com si lascia vedere; anzi può anche essere gradevole, perché Lino Banfi è bravo (anche se piange un po' troppo: non esageriamo) e lo script, stranamente per le fiction italiane, accettabile. Quindi, se uno la prende per quel che è, non c'è niente di male: tanto per mantenersi nel duopolio preti-medici, niente di paragonabile (anche in termini attoriali) con le banalità pretofile di Casa famiglia. Il fatto è che se paragoniamo invece questa con le consorelle statunitensi non c'è più gara: sul mercato globale, stiamo freschi. Perché mai come in questa serie allo spettatore è richiesta ciò che si definisce la 'sospensione dell'incredulità', cioè l'atteggiamento di chi, per un paio d'ore, è disposto a credere che quella casa sia una casa reale, quell'ospedale sia reale, quei medici siano reali, e che quei nipoti, figli e figlie siano reali (e che anche la colf napoletana lo sia). O almeno anche solo un po' verosimili.

Si obietterà che nemmeno nelle sit-coms d'oltreoceano niente è reale: ma neanche pretendono di esserlo, e tutto si risolve in una sorta di teatro televisivo, dove le entrate sono teatrali, i gesti anche, gli attori pure. Al punto che le registrazioni avvengono con il pubblico in sala, che ride (e anzi le risate sono una componente importante: non sono aggiunte in sede di montaggio, come si penserebbe e come avviene per qualche sceneggiatina italiana: sono vere).

Qui, al contrario, si vorrebbe che la sceneggiata fosse anche un po' seria, magari anche con scopi socio-pedagogici, e con quel dolce-amaro che rasenta la vita. E che Un medico in famiglia possa anche diventare un 'manifesto' della terza età. Magari perché il bel mediconzolo va a visitare una vecchina sola, e buono più del pane rimane a farle compagnia e a mangiarsi una frittatina con du' ova. Mentre a casa lo sta aspettando, ansiosa e cotta come una pera, una ventenne bionda come una velina. Ma facitece 'o piacere! (direbbe la colf napoletana: perché, si sa, un Napoletano nella Commedia dell'Arte ci vuole sempre: sennò, che Commedia dell'Arte è?).


Un medico in famiglia

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