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Habent Presidentem

di Roberto Fedi
  Massimo Dapporto e Lucia Annunziata
Data di pubblicazione su web 15/03/2003  
Chi ci segue (grazie!) sa che di solito non ci occupiamo di questioni relative alla politica radiotelevisiva. Non perché non ci interessi, ma proprio per la ragione opposta: non vorremmo che i nostri interventi venissero influenzati dal disgusto che ci procura sempre il balletto intorno alla poltrona presidenziale dell'azienda pubblica, e il ballettino intorno alle poltroncine del CdA.

Quindi abbiamo sorvolato sulla barzelletta che ha visto protagonista Paolo Mieli, che ha fatto di tutto per farsi dire di no cercando di uscirne bene agli occhi di chi si affida agli slogan (divertente la storiella dell'autonomia, che sarebbe garantita solo dal compenso stellare del Presidente - noi, che sciocchini, avremmo detto il contrario); e sorvoliamo anche sulla fresca Presidentessa, Lucia Annunziata, della serie qualche-volta-ritornano. Come dicevamo in un precedente intervento, tutto ci è sembrato una questione privata. Quindi alleluja: habent (non ci pare il caso dire habemus) Presidentem, anzi Presidentessam.

Detto questo, speriamo che qualcosina cambi. Per esempio, già che ci siamo, speriamo che serie come quella del venerdì su Raiuno spariscano dalle nostre serate, che qualche volta vorrebbero anche essere casalinghe, e che invece, spesso, sono costrette ad essere itineranti in cerca di qualcosa di meglio (ristoranti, cinema, amici) che non sia quello che passa il convento.

Non si tratta di una metafora. Perché su Raiuno riprende Casa famiglia, con Massimo Dapporto, uno che dovrebbe essere nominato prete ad honorem. Grande successo della serie precedente, e quindi si riattacca. Abbiamo già espresso il nostro parere in passato su questa pretofilia della Rai (un po' meno di Mediaset), che ci ha ammannito il prete-investigatore di Terence Hill (Don Matteo), una sfilza di fiction su sante, santi, papi, beati, e tra un po' ci ammannirà altre porzioni di suore e sacerdoti sfusi. Per non parlare di 'ospitate' sparse, nelle quali i sacerdoti e le sacerdotesse ormai tengono banco, con una gamma che va dal pretino al cardinale.

Un convento. Lungi da noi la volontà di minimizzare il fenomeno religioso in questo paese. Ma a noi sembra che qui stiano esagerando, e che - ci sembra, ripetiamo - la massiccia presenza in video della funzione-prete sia inversamente proporzionale alla qualità e alla quantità del senso del sacro nella società di oggi. Che, su questo si dovrebbe essere tutti d'accordo, è piuttosto in crisi. Il legittimo sospetto che questi qui stiano lanciando un prodotto (la religione cattolica: absit iniuria verbis) confessiamo che ci è venuto. E dopo il confiteor, sperando nell'assoluzione, passiamo al programmino.

Che è di una sconcertante banalità. La storiella è nota, perché riprende quella della prima serie. Trattasi di un prete (rigorosamente in tonaca, ci mancherebbe) che segue una casa famiglia, alle prese con i problemi, gli affanni, i casi di giovani sbandati o ex sbandati. Buono come il pane, ovviamente. Intorno, le storie si intrecciano, e sono storie di famiglie, di ragazzi e ragazze, di problemi quotidiani.

Fin qui, la cosa potrebbe anche essere di quelle che si vedono senza scosse, come un debito da pagare alle fiction 'sociali'. Il fatto è che non c'è niente di più difficile, in narrativa (anche quella della Tv), che raccontare in modo credibile la vita di tutti i giorni, i gesti abituali, le chiacchiere fra amici, fra moglie e marito, fra padri e figli; e anche fra preti e fedeli, di qualsiasi età. I dialoghi, per esempio, o sono eccellenti o sembrano quelli dei serials sentimentali; gli attori, idem; i luoghi, idem idem. Che è quello che accade qui.

Diceva di sé John Wayne, con molta autoironia, che lui aveva solo due espressioni: col cappello e senza. Non era vero, naturalmente. Massimo Dapporto - ci scusiamo col fantasma del grande Jake per il paragone - ne ha invece veramente solo due: con la tonaca e senza la tonaca. Siccome non se la leva mai, ne ha una sola. La sceneggiatura e i dialoghi hanno momenti sublimi: come quando in una riunione d'affari (a dire poco irreale) a un giovanotto visibilmente scosso e che già da prima si metteva spesso le mani nei capelli (che, nelle fiction Tv, è di solito l'espressione unica dello sconforto), il presidente dice a bruciapelo e seriamente: "lo ha investito lei?", e il giovanotto quasi sviene perché, guarda caso, lui ha proprio investito senza fermarsi un tale che c'è rimasto secco; da cui rimorsi, mani nei capelli e tutto il repertorio. Inutile dire che il presidente, evidentemente piuttosto sgrammaticato, si riferiva a un investimento in denaro. A vedere cose così verrebbe da nominare il nome di Dio invano.

Direte: che c'entra tutto questo con la Presidentessa Rai? C'entra. Perché c'è andata bene, tutto sommato. Visti i programmi, avrebbero anche potuto nominare un papa, o un frate guardiano.



Casa famiglia - 2

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