drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

L'arte della guerra

di Roberto Fedi
  Un soldato irakeno fra due marines
Data di pubblicazione su web 22/03/2003  
Una delle cose che si sono capite poco, in questi primi giorni di guerra in Iraq (non se ne sono capite molte, in verità), è come si sono dispiegati i mezzi della Rai: che è la Rete che ci preme di più, come sempre, trattandosi di una rete pubblica. Da quando sono partite le prime bombe, le tre Reti hanno fatto a gara a chi dava più notizie: cosa che ci sembra un merito, ovviamente. Il problema è che di notizie non ce ne sono molte, se non quelle che si vedono e che più o meno tutti veniamo a conoscere dai giornali (il giorno dopo), dalla Radio, da altre Reti, e dalla CNN, per chi ce l'ha e la capisce.

Trattandosi di un evento di assoluta importanza, e di grande impatto (come suol dirsi), è naturale che le notizie si susseguano; e così i collegamenti, non solo con il teatro delle operazioni, ma anche con le zone vicine, e le capitali europee ed extraeuropee. Perfetto. Un momento: perfetto?

Perché secondo noi sarebbe anche il caso, anzi sarebbe veramente auspicabile, che un cittadino italiano, volendosi tenere informato, potesse accendere un canale Tv (Uno, Due, o Tre: fate voi), e avere notizie continue, 24 ore su 24, in una serie senza interruzione. Con servizi ripetuti, naturalmente, ma continue precisazioni, interventi, informazioni, commenti, collegamenti, filmati; e uno o più conduttori che avessero la funzione di 'ancora', e smistassero i lanci di agenzia, le interviste, le notizie via telefono o via schermo. In modo che a qualsiasi ora uno potesse accendere la televisione, e sapere, nel giro di pochi minuti, ciò che è accaduto nelle ore precedenti, ciò che sta accadendo, ciò che presumibilmente sta per accadere.

Insomma: la CNN. Che non è una rete pubblica, com'è noto, ma svolge un servizio pubblico di informazione mondiale così importante, eccezionale, insostituibile che il pomeriggio del venerdì 21 marzo, quando è arrivata la notizia che i corrispondenti CNN erano stati espulsi da Baghdad, i nostri giornalisti visibilmente si sono sentiti morire. Come dire, e ora che si fa?

Perché mai come in questi frangenti si nota quella che è la peggiore qualità (se così si potesse dire) della Rai: la frammentazione. Ogni Rete fa il suo; ogni inviato riferisce alla sua Rete; ogni corrispondente dalle capitali estere si collega solo con il suo Tg. Tutti, poi, si attaccano alla CNN, addirittura con diversi traduttori simultanei: così che uno può, saltando qua e là, vedere chi è più bravo, chi traduce meglio, chi fa meno pause.

Le Edizioni Straordinarie sono - si capisce - a orari diversi; i giornalisti in studio si rimbalzano le notizie, sì che se uno si collega un po' su una Rete e un po' su un'altra è costretto a sentirsi e vedersi dieci volte le solite news, i soliti quesiti, le solite previsioni. I generali, gli esperti, gli storici eccetera in studio non sono gli stessi, ma anche loro più o meno ripetono le stesse cose. La storia di Saddam forse vivo o forse morto, tanto per dire, ha rimbalzato così tanto sulle tre Reti che alla fine c'era da augurarsi che fosse vivo così almeno la finivano di fare equilibrismi sul filmato famoso (era lui? era un sosia? e poi quanti sono i sosia: chi dice tre, chi otto, chi dieci - esagerati).

C'è poi il fatto più increscioso di tutti. E cioè che non c'è trasmissione, anche la più scema, in cui il conduttore non voglia dare il suo contributo alla questione della pace, oppure della non belligeranza, oppure della contrizione pubblica per la guerra guerreggiata, oppure della deprecazione della violenza, oppure chi sa diavolo su che cosa. Così c'è toccato di vedere, per dire, Massimo Giletti discutere di Iraq, di Saddam, di Bush e annessi con generali, storici, giornalisti e Igor Man, una specie di must quando si parla di Medio Oriente, e che ormai - pardon - ci sembra la caricatura dell'ex inviato di guerra d'antan; mentre Cristiano Malgioglio (pardon bis) ascoltava compreso nel ruolo e vestito come a carnevale. O Roberta Capua con la faccina contrita che leggeva un comunicatino e rinviava a una discussione ulteriore, mentre Luca Giurato fra una smorfia e l'altra salutava con un predicozzo. E interviste volanti a calciatori e piloti di Formula Uno, che naturalmente dicono più o meno bene gli stessi pensierini che dicono quando le interviste sono sulla violenza nel calcio, o sui sorpassi azzardati. E che dovrebbero fare, del resto?

Ci si chiede se, in casi del genere (e anche sempre, in futuro), non sarebbe sperabile la costituzione di una Rete per l'informazione. E basta. Magari senza pubblicità, perché anche parlare di prosciutti mentre è in corso una battaglia non è il massimo. E che le altre Reti pubbliche facessero i loro Tg e tutto il resto, ma senza dispiegamenti di forze raddoppiati o triplicati in ogni dove e però a fare la stessa cosa, e quindi spesso a realizzare una debolezza. Ovviamente non accadrà mai, figuriamoci. E così per avere le notizie, qualsiasi notizia, dovremo sempre saltabeccare da una Rete all'altra, da un inviato all'altro, da un'intervista all'altra. Non da un filmato all'altro: quelli, almeno per ora, sono sempre e solo quelli della CNN. Appunto.

 





 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013