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Macbeth concertato e concertante

di Laura Bevione
  Macbeth concerto
Data di pubblicazione su web 28/01/2003  
Apparso lo scorso anno in pochi teatri italiani (fra cui il Giacosa di Ivrea e il Puccini di Firenze) l'ultimo spettacolo firmato Laboratorio Teatro Settimo, lievemente ritoccato o, meglio, cesellato con cura perfezionistica, è proposto come nuova produzione dello Stabile di Torino.

Il ritmo serrato e la narrazione, che la quasi immobilità degli attori addensa e rafforza, ne fanno uno spettacolo concentrato e avvolgente, capace di costringere per poco più di un'ora l'attenzione degli spettatori. I quattro attori restano per la maggior parte del tempo seduti di fronte alla platea e accompagnano le loro battute con brevi movimenti delle braccia, delle mani e del viso. I passaggi salienti della trama e i mutati stati d'animo dei personaggi sono enfatizzati da un originale e immaginoso utilizzo delle luci e dei suoni, che tracciano una drammaturgia indipendente e complementare alla parola shakespeariana.

Così, la presenza delle streghe è annunciata e accompagnata da intermittenti luccichii nel buio, riflessi di specchietti applicati sui guanti appositamente indossati dagli attori. L'assassinio di Duncan, ancora, è illuminato da un fascio di luce rosso sangue e ogni possibile distrazione del pubblico è impedita dalla periodica rottura della convenzione del buio in sala. Ma è la particolare manipolazione del suono - le musiche, i rumori di scena, le stesse voci degli attori - a definire l'originale qualità dell'allestimento: Tarasco crea "correlativi sonori" alle situazioni e alle parole shakespeareane che acquisiscono in tal modo maggiori evidenza e suggestione. Ci sono i fruscii della foresta, l'angoscia della guerra e quell'ossessivo ripetere "a che punto è la notte", segnale del rovinoso cammino intrapreso dal protagonista.

Gli attori - a eccezione di Di Mauro/Macbeth - non interpretano un unico personaggio ma assumono la parte richiesta dal proseguire fatalmente metodico della vicenda e con le loro voci, ognora variate, ricreano il microuniverso germinato dall'ambizione del protagonista. Nella versione dello scorso anno il punto di vista non era, però, quello di Macbeth, inevitabilmente falsato e in qualche modo malato, bensì quello delle streghe e Vacis sembrava riprendere in qualche modo l'espediente su cui si reggeva il suo spettacolo Affinità, in cui il racconto delle vicende dei tristi amanti di Goethe era affidato alle cameriere, anch'esse personaggi solo tangenzialmente coinvolti.

Quelle creature del male, tuttavia private di qualsiasi carattere banalmente demoniaco, apparivano le uniche figure realmente oneste della tragedia; il che non significa buone, semplicemente coerenti con la loro natura e con i loro fini, e felici nell'assistere alla pratica realizzazione dei loro piani da parte del protagonista. Adesso, invece, l'attenzione è concentrata proprio sul protagonista, di cui il regista pare intento a sondare la mente, all'impossibile ricerca di una spiegazione della sua criminale ambizione. Macbeth, a differenza di altre interpretazioni, è fin dal suo primo incontro un malvagio in potenza e gli isterici rimproveri della Lady (Curino) solo energici integratori della propria volontà di dominio a ogni costo.

Curino, Giagnoni e Di Francesco attribuiscono quasi una forma di infantile candore alle streghe mentre Di Mauro è un Macbeth nevroticamente deciso a conquistare e conservare il trono; insieme, i quattro eseguono una stringente e policroma sinfonia sull'irresistibile seduzione del male.

 


Macbeth concerto
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