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Un marziano a Milano

di Albarosa Camaldo
  Sandra Bonomi e Antonio Salines in ''Provaci ancora Sam'' di Woody Allen, regia di Marco Bernardi (1983)
Data di pubblicazione su web 15/02/2005  
Nato a La Spezia il primo luglio 1936, Antonio Salines si diploma all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D’Amico nel 1959. Nello stesso anno fonda assieme a Carmelo Bene una delle prime compagnie teatrali autogestite, I ribelli, debuttando nella parte di Scipione nel Caligola di Camus, a Roma.
Nel '60 fa parte del Teatro Popolare diretto da Vittorio Gassman.
Nei due anni seguenti lavora in televisione con la compagnia dei giovani ''I Nuovi'' diretta da Guglielmo Morandi, dove è protagonista di numerose commedie classiche e moderne, fra le quali Ma non è una cosa seria di Pirandello e Alla ricerca della felicità di Rozov.
Nel '63 fonda a Roma il primo cabaret con Maurizio Costanzo. Dallo stesso anno è attivissimo in teatro, dove prende parte a numerose commedie, lavorando con le più importanti compagnie italiane e con i registi più prestigiosi.
Entrato al Piccolo Teatro di Milano, sostiene ruoli importanti nella Betia del Ruzante (regia di De Bosio) e in Toller di Dorst (regia di Chéreau); tra gli altri suoi lavori di maggior importanza con svariate compagnie: Giulietta e Romeo di Shakespeare, Barabba di De Ghelderode e Aspettando Godot di Beckett.
Dal '70 lavora come attore e regista al Teatro Belli di Roma, dove ancora oggi è Direttore artistico della compagnia stabile, allestendo numerosi spettacoli fra cui Peer-Gynt di Ibsen, L'opera dei mendicanti di John Gay, Neurotandem di Silvano Ambrogi, La cauteriaria (presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto).
Nell’80 si cimenta con la regia di Un marziano a Roma di Flaiano e de Il concilio d'amore di Panizza. Nell'85 è regista e interprete de Il boudoir del Marchese de Sade di Lerici e interprete di Pranzo di famiglia sempre di Lerici per la regia di Tinto Brass. Seguono Inferno di Strindberg, Chi ruba un piede è fortunato in amore di Dario Fo, la regia di Delitto all'Isola delle Capre di Betti, Coltelli di Cassavetes, Il bugiardo di Goldoni, Francesca da Rimini di D’Annunzio.
Per alcuni anni collabora con lo Stabile di Bolzano sostenendo ruoli da protagonista nel Leonzio e Lena di Buckner, Pene d'amor perdute e Le allegre comari di Windsor di Shakespeare, La cortigiana di Aretino, e, come regista e attore, Provaci ancora Sam di Woody Allen. Per lo Stabile del Veneto interpreta da protagonista alcune commedie di Goldoni: La famiglia dell'antiquario, Chi la fa l'aspetti, Una delle ultime sere di carnevale. Dal 2002 ha inizato un rapporto di collaborazione con la Contrada di Trieste
Nel corso della sua lunga carriera, Salines ha inoltre preso parte a diverse produzioni per il cinema (vale la pena ricordare almeno la regia nel 1992 di Zio Vania) e per la televisione di cui resta celebre la sua interpretazione del personaggio di Smerdjakov nello sceneggiato I fratelli Karamazov.



Gianni Galavotti ed Antonio Salines (1983)
Gianni Galavotti ed Antonio Salines (1983)


Come è avvenuta la sua formazione artistica di attore di scuola? E quali sono stati i suoi maestri?
Ho fatto l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico nel 1956 con insegnanti del calibro di Sergio Tofano e Wanda Capodaglio che mi hanno guidato al diploma tre anni dopo. Appena finita l’Accademia sono passato al Teatro Popolare diretto da Vittorio Gassman, anch’egli un vero maestro il cui contributo è stato determinante per la mia formazione. Durante gli anni dell’Accademia sono diventato amico di un mio collega di corso, Carmelo Bene, e così, appena diplomati, abbiamo fatto un’esperienza di compagnia insieme. Quindi i miei punti di riferimento sono stati Tofano, Capodaglio, Gassman e Carmelo Bene.

Cosa di un attore straordinario come Sergio Tofano è rimasto nella sua recitazione?
Da Tofano ho imparato molto. In particolare mi sono ispirato a lui per i ruoli comici, come, per esempio, il ruolo nei I ragazzi irresistibili di Neil Simon che sto facendo adesso in teatro (al Teatro Manzoni di Milano e poi in tournée ndr). Tofano mi ha dato le primissime indicazioni per quanto riguarda i tempi ed i ritmi del teatro comico. Mi ricordo che avevo sperimentato con lui un lavoro di Noel Coward e poi avevamo fatto insieme Goldoni.

Come è stato il rapporto di collaborazione con Gassman?
Mi ha insegnato molto sul teatro drammatico. Insieme a Gassman ho lavorato nell’Adelchi di Manzoni, in Orestiadi di Eschilo e in Un marziano a Roma di Flaiano: aveva una tecnica perfetta per il teatro classico e drammatico. Così ho affinato entrambe le componenti comica e drammatica riuscendo facilmente a passare dall’una all’altra. Uno dei più grandi successi popolari che ho avuto è stato nello sceneggiato televisivo I fratelli Karamazov, tratto da Dostoevskij, interpretando Smerdjakov, che è un personaggio drammaticissimo. Poi sono passato a fare parti leggere nelle commedie di Georges Feydeau ed Eugène Labiche.

Lei, che ha avuto ottimi maestri, come giudica la formazione dei giovani attori italiani oggi?
Sono molto dubbioso sulla formazione dei giovani. Mi raccontano che la maggior parte delle scuole italiane, sia private che pubbliche, hanno insegnanti mediocri e quindi non vedo prospettive rosee per il futuro del teatro. Spesso queste scuole sono tenute da attori che insegnano abusando dell’improvvisazione e che si inventano di tutto: ad esempio la tecnica per portare la voce. Ma oggi tutti usano il microfono e quel metodo non serve più.

Quale ritiene sia la causa di questa situazione?
Gli attori disoccupati creano dal nulla scuole di recitazione dove si improvvisano insegnanti. Capisco che c’è bisogno di lavorare, ma faccio un confronto: con tutte le carenze che ha la scuola di stato, se uno non è laureato non può fare il professore; invece nelle scuole di teatro c’è un caos pazzesco e il 90 % delle scuole è gestita da insegnati non qualificati. Ed è un disastro perché gli attori che si formano nelle scuole improvvisate sono moltissimi. Per fortuna ci sono le scuole serie dei teatri stabili con insegnanti capaci, attori e registi riconosciuti, che danno ai giovani che le frequentano la giusta preparazione.

Presso il Teatro Belli di Roma che Lei gestisce ha anche una scuola?
No, l’avevo fatta quindici anni fa e vi insegnavo insieme a José Quaglio. Dopo due anni, poiché ero occupato con le tournée, non me la sono sentita di mettere un altro insegnante al mio posto e allora, proprio perché avrei voluto seguirla personalmente, ho rinunciato alla scuola.

Quando lavora in compagnia con attori più giovani e quando allestisce spettacoli come regista dà loro degli insegnamenti?
Negli anni ‘70 ho formato una compagnia al Teatro Belli dove hanno lavorato con me Sergio Castellito, Magda Mercatali, Flavio Bucci e Gioele Dix che, quando mi vede, dice "Tu mi hai insegnato tutto." Queste sono le soddisfazioni che ho. È molto importante anche apprendere dal contatto diretto con un attore più esperto, come ho fatto io con Gassman.

 

Patrizia Milani, Antonio Salines, Loredana Martinez, in ''Le allegre comari di Windsor'' di William Shakespeare, regia di Marco Bernardi, (1999-2000)
Patrizia Milani, Antonio Salines, Loredana Martinez, in ''Le allegre comari di Windsor'' di William Shakespeare, regia di Marco Bernardi, (1999-2000)



Come definisce il suo stile di recitazione?
Io direi che è più importante imparare la tecnica che non è solo la dizione, cioè dire le e giuste aperte e chiuse. Agli attori troppo rilassati che non si impegnavano con tutti i nervi e la tensione necessaria Gassman consigliava di recitare tenendo "le chiappe strette". Sul palcoscenico non è come in televisione: se non sei bravo, per il pubblico è una noia mortale. Quindi è importante imparare una tecnica. Io studiavo come può studiare un concertista con il pianoforte quando deve preparare un concerto. Studio anche adesso, mentre ci sono degli attori che vengono alle prove senza avere studiato a casa: io non riesco a capirlo. Sono una persona che quando si mette a studiare un copione come I ragazzi irresistibili inizio alle nove e termino alle una, giusto in tempo per andare alle prove; e l'ho fatto per quaranta giorni di seguito. I ragazzi oggi credono di imparare la parte durante le prove: e invece non si fa così. Io credo che il teatro non morirà mai. Ma va sempre peggio e il prodotto è carente.

Come è nata la sua collaborazione con la Contrada di Trieste?
La Contrada è una delle compagnie storiche. E' nata nel 1976 per iniziativa di Ariella Reggio, Orazio Bobbio, Lidia Braico, Francesco Macedonio e ha fatto parecchia gavetta, cominciando con il Teatro Ragazzi fino a che, nel 1989, ha ottenuto il riconoscimento di "Teatro Stabile di interesse pubblico". Avevo conosciuto Orazio Bobbio, direttore artistico della Compagnia, tanti anni fa. Nel 2002 mi ha chiamato per fare La rigenerazione di Svevo e per I Rusteghi di Goldoni. Pur non essendo veneziano ho recitato tanti testi di Goldoni in lingua e riesco a parlare veneto benissimo perché avevo cominciato con De Bosio a fare la Betia di Ruzante. Così ho iniziato a lavorare con la Contrada, con cui mi trovo molto bene, interpretando anche la prima edizione teatrale di Io e Annie di Woody Allen. Mi hanno offerto delle possibilità per farmi conoscere anche fuori da Roma. Tuttavia non ho abbandonato la mia compagnia del Teatro Belli in cui faccio sempre alcune regie e l’attore nei mesi in cui sono libero; non ho rinunciato al mio "teatrino" neanche quando ho avuto l’offerta da Paolo Grassi, negli anni Settanta, di restare come primo attore fisso per quattro anni al Piccolo, dove avevo già lavorato in Toller di Dorst, con la regia di Patrice Chèreau, e nella Betia di Ruzante con Gianfranco De Bosio.

Quando ha formato la sua compagnia al Teatro Belli?
Nel 1970: erano già più di dieci anni che recitavo e che avevo visto grandi protagonisti. Mi ero laureato nel ‘60 e avevo già fatto molti spettacoli; quindi mi sono permesso di fare una mia compagnia. Oggi, un ragazzo che non ha fatto nessuna scuola e nulla di significativo, tanto per lavorare, si mette a formare gruppi di teatro improvvisati senza avere le carte in regola; magari ha successo e anche i critici gridano al miracolo, ma manca la preparazione di base. Io non sono polemico, anzi: largo ai giovani. Vengo dall’avanguardia, ma sono d’accordo con quello che diceva Carmelo Bene di alcuni gruppi di avanguardia: "Sono tutti miei aborti".

Che differenze riscontra tra lavorare in un Teatro Stabile e uno privato?
Mi sono sempre barcamenato perché ho lavorato con lo Stabile di Bolzano e con lo Stabile del Veneto per molti anni, trovandomi sempre molto bene; ma col tempo ho portato avanti le mie scelte. Certo negli stabili ti pagano bene e fatichi come in una cooperativa. Hanno molto denaro. Con i soldi di una loro produzione faccio dieci anni di produzioni del mio teatro! Comunque è giusto che lo stabile funzioni perché ci sono tante persone che ci lavorano: ma si vedono tanti sprechi negli allestimenti che mi fanno venire i brividi. Specialmente pensando a tutto quello che abbiamo fatto noi nei teatrini con poche lire e con tanti sacrifici, portando avanti un tipo di spettacolo che è rimasto nella storia del teatro italiano. Il teatro Belli che ho prelevato e restaurato doveva diventare una birreria: mi piaceva l'idea di guadagnare i soldi negli stabili per investirli poi nel mio teatro. Sono uno dei pochi attori che non ha una casa di proprietà, ma un teatro.

Ne I ragazzi irresistibili, che è in scena al teatro Manzoni di Milano e poi in tournée, la sua ironia così contenuta espressa solo dal brillio degli occhi e dal movimento delle labbra dà al personaggio una sorta di finezza in contrasto con la burbera spontaneità di Johnny Dorelli. Come vi siete accordati per caratterizzare i due personaggi di Al Lewis e Willie Clark?
È stato miracoloso, io non conoscevo personalmente Dorelli. Sapevo che non era il classico attore di teatro, aveva fatto la rivista e la commedia musicale: insomma, teatro brillante. Non immaginavo come avrei potuto trovarmi con lui: ed invece è stato un "colpo di fulmine". In scena ci capiamo al volo, abbiamo un’intesa che con un altro attore difficilmente potrei realizzare. Ci lanciamo la palla: quando sono un po’ 'giù' è lui che reagisce e viceversa. Dorelli è una persona sensibilissima e questo in scena si vede, si sente. È stato un sodalizio artistico meraviglioso e mi ha fatto veramente piacere perché mi sono trovato a lavorare per la prima volta con una personalità importante e con un attore non attore, tra virgolette ovviamente, che invece è un attore con i fiocchi. Il contatto con Dorelli ha reso, come diceva lei, più raffinata la mia ricerca sul personaggio. Probabilmente con un qualsiasi altro attore non ci sarei riuscito. Dal primo giorno di prove ci siamo trovati sempre in sintonia e sebbene dalle parole dei miei colleghi sapessi che non fosse un personaggio facile, in realtà è sempre stato molto disponibile. E in scena si vedono i risultati.

Agli spettatori appare questa intesa molto forte e si vede che lo spettacolo alcune volte va da solo, anche per il valido contributo di comprimari di valore, tra cui Adriano Giraldi e Maurizio Zacchigna che con la Contrada collaborano pure negli allestimenti estivi prodotti con la Biblioteca - Museo Sveviano di Trieste. 
Esatto. È una compagnia particolare, siamo solo tre personaggi principali - Dorelli, Bobbio ed io - e siamo tutti e tre molto vicini anche umanamente, ci stimiamo molto. Bobbio ha avuto l’idea della commedia e non ha scelto di affiancare a Dorelli un altro attore popolare, magari televisivo, per fare colpo; ha detto che senza di me non avrebbe fatto I ragazzi irresistibili, che avrebbe cambiato testo. Ed ha avuto ragione: siamo una bella accoppiata. Inoltre come diceva lei abbiamo la fortuna di essere affiancati da attori validissimi: il brillante Adriano Giraldi, che interpreta con ironia l'aiuto regista Eddie, Maurizio Zacchigna e Zita Fusco, che nello Sketch sono rispettivamente il malcapitato paziente e l'infermiera sexy, e Maria Serena Ciano, che dà vita alla burbera infermiera che cura il recalcitrante Willie. 

Il regista Francesco Macedonio vi ha lasciato spazio nella creazione dello spettacolo o avete seguito le sue direttive?
Macedonio è stato essenziale perché ha approfondito i personaggi. Sebbene le commedie di Simon si sviluppino sul registro comico il regista ha aggiunto le componenti della vecchiaia, della solitudine e della stanchezza, così da conferire originalità allo spettacolo. L’idea finale di far ritrovare Al e Willie nella casa di riposo per artisti viene da Macedonio ed è geniale. Nello sketch in cui spostiamo i mobili ci ha chiesto di sederci al termine dell'azione, nonostante non ci fosse alcuna indicazione di questo tipo nella didascalia originale. E ciò proprio per sottileneare la spossatezza dell'età. Macedonio ha ideato queste suggestioni per meglio caratterizzare i personaggi ed ha avuto ragione.

Lei che lavora a Roma da tanto e che si è esibito diverse volte a Milano, quali differenze nota tra il pubblico delle due metropoli ?
Ho gemellato il mio Teatro Belli di Roma con il Teatro Libero di Milano, diretto da Corrado d’Elia, e sto ottenendo buoni risultati. Le scelte fatte mi stanno ripagando: per esempio, quando ho portato la regia del Marchese De Sade a Milano al Teatro Libero, ho visto nel pubblico molti giovani. A Roma bisogna promuovere di più gli spettacoli. Io sono più conosciuto a Milano che a Roma dove funziona un po’ come diceva Flaiano in Un marziano a Roma: quando uno arriva tutti lo osannano e poco dopo non sanno più chi è. Roma è l’emblema di quello che succede in Italia in generale, prima ti osannano e poi ti dimenticano. Anche se adoro Roma ritengo Milano più riconoscente con gli artisti. Milano si ricorda di più. Gestisco il Teatro Belli da più di trentacinque anni, ma se non ci fossi più io e questo teatro venisse chiuso, nessuno farebbe niente.
Tuttavia resisto e sono orgoglioso di avere sempre resistito!





 
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