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Panariello è il nuovo borghese gentiluomo

di Carlo Lorini
  Il borghese gentiluomo
Data di pubblicazione su web 10/02/2005  

Le feste di ottobre alla corte di Luigi XIV fecero da cornice alla prima rappresentazione de Il Borghese gentiluomo, che fu composto da Molière per il divertimento del sovrano, e classificato come 'commedia d’occasione'. A dispetto di tale denominazione, dopo 335 anni la commedia regge ancora la prova del palcoscenico. A riproporla è Giampiero Solari, che affida la parte interpretata per la prima volta dallo stesso Molière, a Giorgio Panariello. La scelta del regista, da subito, stimola lo spettatore ad interrogarsi sul nuovo ruolo del popolare presentatore, per valutarne la resa a livello teatrale in una commedia di questa portata.

Il punto di partenza della rappresentazione rimane, pur se con qualche rivisitazione, il testo di Moliere, per ottenere non già una sua possibile interpretazione, quanto piuttosto Il Borghese gentiluomo quale era stato concepito dall’autore stesso. Il rapporto del regista con il testo o meglio, con Molière, si palesa nel momento stesso in cui si entra in sala. Come afferma lo stesso Solari la scenografia è figlia della scelta di affidare il ruolo del Signor Jourdain a Panariello, che ha incoraggiato 'rompere e ribaltare verso il pubblico la quarta parete con un prolungamento in aggetto di 3 metri. Una sorta di praticabile elisabettiano aggiunto al boccascena inquadrato da una sipario rosso di finto broccato barocco, un sipario da commedia dell’arte'. La presenza sul sipario rosso del nome di Molière introduce da subito il riferimento diretto, voluto e cercato da Solari, al testo dell’autore francese. Altri elementi per valutare l’aderenza all’originale sono dati dalla coreografia, dalle partiture musicali e dai costumi.

Al centro della rappresentazione, quindi, la modernità del testo de Il Borghese gentiluomo, spettacolo fondato su contaminazioni di generi fra musica, balletto e commedia, che il regista vuole riproporre in tutta la sua vitalità. È in quest’ ottica che deve essere valutata la partecipazione di Panariello, il cui ingaggio non è stato casuale, ma frutto di una scelta ben consapevole: "Lui sembra una specie di ‘Bottegaio Pratese’’ che subisce il fascino di una passata nobiltà, con quei valori, come la cultura, che tendono a raffinare lo spirito. [...] Inoltre, c’è l’elemento realistico che può raccontarci oggi attraverso se stesso con una toscanità che ci mette lui stesso (ed è qui che viene fuori quel Bottegaio Pratese che ho citato prima)". Dal canto suo Panariello lavora sul proprio personaggio al fine di renderlo più facilmente fruibile e familiare al pubblico odierno. Il risultato deriva dalla scelta di caratterizzare il Signor Jourdain con i tratti dei personaggi noti al grande pubblico, e particolarmente cari ai Fiorentini. Ecco, quindi, che dal testo di Molière sembra farci l’occhiolino Naomo, riconoscibile dall’inconfondibile erre moscia.

A trarre giovamento da tale opera non è solamente il personaggio del Signor Jourdain, ma tutta la commedia che, come afferma lo stesso Solari, si avvicina in qualche modo agli spettacoli televisivi condotti dal presentatore toscano. Infatti: 'L’interno dell’opera è costituito da numeri: ci sono anche dei balletti al fine di richiamare in qualche senso il varietà'. A completamento di tale scelta di regia sono da considerare altri elementi: l’uso delle luci, che a volte richiamano alla mente i fari di certi spettacoli moderni, la musica, che in alcuni passaggi sembra ammiccare alle sonorità proprie delle discoteche, e certi movimenti scenici. Per la scena in cui il Signor Jourdain si trova a colloquio con il filosofo, la regia di Solari propone i due a sedere su poltrone al centro della scena, illuminati da una unica luce centrale: come non riconoscervi le classiche interviste che si vedono nei programmi in onda la domenica pomeriggio? Anche la scelta di inserire all’interno della scenografia, alle spalle di chi recita, un enorme specchio che permetta allo spettatore di entrare nell’intimità della scena, ben sottintende come il personaggio di Jourdain sia stato concepito come moderno, a tutto tondo, che per la propria contemporaneità deve poter essere visibile da ogni angolazione. Eppure, e qui risiede la bravura della regia, la rappresentazione, non perde mai di vista il proprio rapporto diretto con l’opera di Moliere, riuscendo così a proporsi anche come esempio di classicità.

Per ottenere un simile risultato, il regista ha selezionato una compagnia in base alle caratteristiche di Giorgio Panariello, dove i nomi più famosi sono quelli di Tosca d’Aquino (Signora Jourdain), Andrea Buscemi (Dorante, conte, amante di Dorimène) e Carlo Pistarino (maestro di filosofia), ai quali si affiancano gli attori del Teatro stabile delle Marche. Questi interpretano i propri personaggi in modo da sottolinearne, tramite movimenti scenici goffi ed impacciati, come ad esempio nel balletto proposto dal maestro di danza, il lato opportunistico e falso nei confronti del ricco borghese. Emerge, quindi, l’incompetenza del Signor Jourdain nel non saper valutare quanto gli viene proposto come arte elevata. Dato che appare in maniera quanto mai più vistosa nel momento della lezione di filosofia quando il maestro, con la scusa di insegnargli la corretta pronuncia delle vocali, gli fa fare il verso dell’asino, senza che il protagonista se ne renda minimamente conto ma anzi, ne tragga appagamento per il proprio ego.

I movimenti scenici della compagnia presa nel suo formare una sola identità mettono in luce un dato significativo: fino all’arrivo del sarto i protagonisti si mantengono, per quanto è possibile, ai margini del palcoscenico. In virtù dei vestiti nobiliari appena messi, il Signor Jourdain si illude di acquisire una nuova posizione sociale, da subito rivendicata ponendosi al centro della scenografia.

In realtà il risultato sarà diametralmente opposto alle aspettative del protagonista; il play within the play portato in scena da Cleonte evidenzierà l’assoluta incapacità del padrone di casa a mantenere sotto il proprio controllo le vicende familiari. Allo stesso tempo relegherà il personaggio interpretato da Panariello a personaggio minore della commedia, che ha nell’uscita la propria realizzazione visiva: abbandona la scena per ultimo ed è il solo ad utilizzare il secondo sipario, che fungeva da teatro interno durante la cena per la marchesa.

Non è un’uscita facile, giacché racchiude in se tutta la tristezza di Jourdain che, rimasto solo, si avvede che l’aver conquistato un titolo, seppur vano, non gli reca felicità alcuna, se non può specchiarsi nell’ammirazione altrui. E quindi, con la parrucca in mano, quasi a sottolineare l’inutilità di tale accessorio aristocratico, e lentamente, come oppresso da chissà quali pensieri, lascia la scena, voltando letteralmente le spalle al pubblico, e alla vita.




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