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Shakespeare nell'arte

di Maria Ida Biggi
  Shakespeare nell'arte
Data di pubblicazione su web 02/09/2004  
"Senza la storia dell'arte, la storia dello spettacolo rischierebbe di rimanere una disciplina senza oggetto". Questa affermazione di Ludovico Zorzi che risale a circa venticinque anni fa, trova la migliore conferma nella mostra Shakespeare nell'arte, allestita ora a Ferrara, nel palazzo dei Diamanti, fino al 15 giugno. Le curatrici Maria Grazia Messina e Jane Martineau concordano con quanto sostiene Zorzi a proposito degli "apporti forniti dalla figurazione in senso lato (e in primo luogo dalla pittura) alla ricognizione di alcuni momenti della storia dello spettacolo" e sostengono anche che, in certi periodi, l'ispirazione tratta dal teatro è stata della massima importanza per l'attività di alcuni pittori.

La testimonianza delle fonti shakespeariane in questo senso è emblematica per alcuni esempi sette e ottocenteschi, inglesi, francesi e italiani, esposti in questa mostra. Organizzata da Ferrara Arte e dalla Dulwich Picture Gallery di Londra che la ospiterà in seguito dal 16 luglio al 19 ottobre 2003, quest'esposizione contiene ottantadue opere, fra dipinti e disegni, divisi in sette sezioni. La prima è dedicata agli illustratori più antichi e comprende tele che documentano singole rappresentazioni, con lo spirito della ritrattistica realista del tempo.

L'esempio più significativo è la tela di William Hogart che raffigura un Falstaff nella scena del terzo atto di Enrico IV al Drury Lane di Londra. La seconda sezione, dedicata ai maestri del sublime, costituisce senza dubbio il nucleo forte della mostra, grazie soprattutto alla presenza delle opere di Johann Heinrich Füssli e William Blake. Il linguaggio figurativo abbandona il ritegno classico e si esprime in composizioni singolari dove predominano il terrore, il senso del pericolo e dell'angoscia; gli artisti sono quelli che, a partire dagli anni sessanta del Settecento, rifiutando lo stile accademico, eseguono una pittura passionale, fantastica, partecipe delle tragedie espressa con la loro accesa immaginazione.

E in quest'ottica riescono ad emulare la stessa forza di suggestione dell'opera shakespeariana. Alla mostra colpiscono, oltre alle opere famose di Füssli e Blake, quelle di George Romney e di James Barry. Del primo, lo straordinario Re Lear nella tempesta si strappa le vesti, datato circa 1760, dimostra un particolare coinvolgimento con il tema della follia di Lear, qui espressa con la parossistica agitazione di strapparsi le vesti, alla debole luce di una torcia, mentre il cielo è squarciato da un fulmine. L'effetto è frutto, come sostiene Messina nella scheda del catalogo, di uno studio condotto direttamente dal vero sugli effetti teatrali della luce artificiale. Di Barry colpisce la tela dedicata a Re Lear piange la morte di Cordelia del 1774, dove il "livido cromatismo" e l'assetto compositivo dei protagonisti, squassati dal vento, dimostra l'autonomia dell'artista nel recuperare la tragedia dal testo originale di Shakespeare, contrapponendosi al lieto fine delle coeve messinscene teatrali.

La diffusione della pittura a soggetto teatrale è da collegare alle Shakespeare Galleries di John Boydell e James Woodmason, iniziative editoriali legate al consolidamento della fama del drammaturgo nell'Inghilterra di fine del Settecento. Si è trattato, infatti, di due delle più grandi imprese editoriali e promozionali del tempo, quella Boydell inaugurata nel 1789 a Londra, quella Woodmason in Irlanda nel 1793. Queste gallerie ospitavano tele di grandissimo formato, commissionate ai maggiori artisti con lo scopo di essere, successivamente, incise in grandi tirature. Appartengono a questo tipo di operazione alcune delle tele più belle esposte a Ferrara, di Füssli, Hodges, Romney e Gilpin. I dipinti di soggetto teatrale, prodotti come strumento di diffusione del teatro di Shakespeare, documentano inoltre l'evoluzione degli stili di recitazione e della tecnica scenica, dalla costumistica all'illuminazione teatrale, così come le trasformazioni stilistiche nel campo della scenografia.

Nella pittura del romanticismo europeo, è evidente la differenza di gusto e sensibilità che caratterizza la diffusione dell'opera shakespeariana in Europa. Gli artisti maggiormente documentati nell'esposizione ferrarese, sono Eugène Delacroix, Gustave Moreau, Théodore Chassériau, Francesco Hayez e Anselm Feuerbach. I pittori romantici trovano in alcune figure del teatro di Shakespeare quel mondo immaginario e tragico che costituisce il centro della loro poetica.

Amleto e Otello sono le tragedie più amate e più rappresentate. L'Amleto interpretato dall'attore francese François-Joseph Talma diviene l'emblema della malinconia che sigla tutta l'opera del pittore romantico Delacroix: attraverso la sua rappresentazione pittorica tutto Shakespeare, diviene esponente dal male del secolo, secondo un'espressione di Baudelaire. Maria Grazia Messina nel catalogo scrive: "Soprattutto, Amleto, femmineo e pallido nel suo essenziale vestito a lutto, privo degli attributi pittoreschi che saranno poi suggeriti dal costume invalso nelle scene inglesi, è la nuda figura della malinconia così come lo aveva impersonato Talma, più incline alla meditazione che al rancore della vendetta". Ancora Delacroix rimane molto colpito dalla dirompente modernità dello Shakespeare rappresentato a Parigi, nell'autunno 1827, dal Théâtre Anglais in lingua originale: in queste rappresentazioni, la veridicità cruda dei grandi attori inglesi gli fa provare vere emozioni tragiche.

La realistica novità delle pose e degli atteggiamenti sarà fonte di ispirazione per molti pittori e incisori romantici che seguiranno. Altra fonte per l'universo fantastico dei pittori francesi e italiani è il melodramma, che utilizza come propri soggetti, molti temi shakespeariani. Fra questi, il maggiore è sicuramente l'Otello, musicato da Gioacchino Rossini e rappresentato a Parigi, con enorme successo, dalla grande cantante Maria Malibran nella parte di Desdemona, anch'essa icona del grande mito romantico. Anche in Italia, il melodramma è uno dei punti di partenza per molti pittori romantici, che amano soprattutto i soggetti derivanti da Romeo e Giulietta: emblematico è il caso di Hayez quando, nel 1823, dipinge L'ultimo addio di Giulietta e Romeo dove conserva la memoria degli spettacoli visti, esprimendo il gusto per le ambientazioni medievali e troubadour, tipico degli allestimenti teatrali dell'epoca.

Durante gli anni quaranta e cinquanta dell'Ottocento, l'immaginario vittoriano ha tratto ispirazione soprattutto dai soggetti fantastici e favolistici della produzione shakepeariana. L'ultima sezione della mostra si rivolge infatti proprio all'arte nel periodo vittoriano: probabilmente la presenza a teatro di un numero maggiore di elaborati effetti teatrali, resi possibili dall'introduzione della luce a gas, ha colpito la fantasia dei pittori che hanno tratto ispirazione da soggetti come quelli di Sogno di una notte di mezza estate e de La tempesta.

Tra questi il bellissimo Ferdinando attirato da Ariel di John Everett Millais che è diventato l'intrigante logo dell'esposizione. Molto curiosa è poi la sezione dedicata al culto di Shakespeare che raccoglie alcuni interessantissimi ritratti, a dimostrazione della venerazione o "Bardolatry", come l'ha definita George Bernard Shaw, che la figura del drammaturgo ha raggiunto nel corso dei secoli diciottesimo e diciannovesimo. Il fatto che non vi fosse certezza circa l'autenticità dei ritratti seicenteschi, sia quello di Gerard Johnson il giovane, nel monumento funerario a Stratford-upon-Avon, sia quello riprodotto sul frontespizio dell'edizione 1623 delle opere, firmato da Martin Droeshout, ha stimolato molti artisti delle generazioni successive a creare un'immagine stereotipata, una sorta di icona dell'artista intellettuale.

David Garrick, nella duplice funzione di attore e impresario teatrale, contribuisce enormemente alla nascita del culto del poeta e alla creazione di reliquie, arrivando addirittura a far realizzare dallo scultore Louis-Francois Roubiliac una statua a misura naturale da porre nell'elegante tempietto fatto progettare da Robert Adam nel giardino della propria villa ad Hampton sulle sponde del Tamigi. In mostra è possibile ammirare alcuni ritratti: dal "facile e superficiale per quanto molto popolare" ritratto ideale di Angelica Kauffman databile prima del 1781, al ritratto immaginario di William Blake del 1800-1803 realizzato per decorare una biblioteca, al bellissimo e suggestivo Sir Walter Scott davanti alla tomba di Shakespeare di David Robert databile fra il 1840 e il 1845, intensa testimonianza dell'importanza che il grande letterato ha avuto nel processo di ricostruzione della vita del drammaturgo.

Molto interessante è anche la piccola parte della mostra dedicata alle scenografie che sono state utilizzate per allestimenti shakespeariani, nei teatri londinesi, dal 1821 al 1864, dall' attore-impresario Charles Kemble e dagli attori Charles Kean, William Charles Macready e Charles Albert Fechter: sono esposti bozzetti scenici e disegni di attrezzeria, come quelli attribuiti ai diversi esponenti della famiglia Grieve, a Clarkson Stanfield e a William Telbin Senior.

A quest'ultimo appartengono due bellissimi disegni per un Amleto del 1864, messo in scena dall'attore franco tedesco Fechter, profondo conoscitore di storia del costume e direttore del Lyceum Theatre dal 1863 al 1867. Durante questo periodo, Fechter rinnova profondamente l'impianto scenico del teatro inserendo un primitivo ciclorama che gli permette di ottenere effetti originali, come quelli mostrati nei bozzetti di Telbin, esposti in mostra.

Il bel catalogo costituisce, pur nel rapporto con la mostra, un importante e autonomo contributo all'approfondimento dell'affascinante tema pittura-teatro. Tra i saggi introduttivi, si segnala quello di Cristopher Baugh, attenta analisi di alcuni dei più importanti allestimenti scenici inglesi delle opere di Shakespeare, dal 1660 ai primi anni del 1900. Tra i testi che introducono alle varie sezioni, quello di Desmond Shawe-Taylor approfondisce il ruolo avuto da alcuni attori inglesi nella diffusione del teatro di Shakespeare e nella pittura a questo collegata, come David Garrick e John Philip Kemble. Maria Grazia Messina tratta i pittori del sublime e approfondisce, con vasta documentazione, le implicazioni psicologiche che hanno spinto pittori, come Füssli, a dedicare tante energie nella ricerca di esprimere le sensazioni derivate dai temi espressi dai testi di Shakespeare. Ogni scheda nel catalogo è esauriente e riporta un'ampia e preziosa bibliografia che costituisce un prezioso strumento di lavoro aggiornato.


Shakespeare nell'arte

Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 15 febbraio - 15 giugno 2003
 



 

Johahn Heinrich Füssli, Il risveglio di Titania (1793-1794)
Johahn Heinrich Füssli, Il risveglio di Titania (1793-1794)

 

 

 

 


 

John Everett Millais, Ferdinando attirato da Ariel (1849)
John Everett Millais, Ferdinando attirato da Ariel (1849)


 

 
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