In seno al Festival Arlecchino doro, immersa nel suggestivo "notturno" offerto dal cortile donore del Palazzo Te a Mantova, è stata accolta, martedì 6 luglio, la messa in scena dell'Otello curata e interpretata (nel ruolo di Iago) da Corrado dElia, eclettico direttore del Teatro Libero di Milano e fondatore della Compagnia dei Teatri Possibili. Da fedele apostolo della Commedia dell'Arte, il giovane d'Elia – sfrondato audacemente il testo della tragedia (ridotta a un paio d'ore senza intervallo) – dona allo spettacolo una inedita leggerezza ritmica e al suo personaggio gli atteggiamenti di un infantile e temibile zanni frutto di una pericolosa contaminazione genetica tra un Arlecchino-horror (come può esserlo IT, idea sublimata di clown newage) e Riccardo III (in versione post-moderna). Gli attori si muovono in uno spoglio e asettico scenario chiuso fra claustrofobiche pareti nere (non più Venezia, non più Cipro) e dominato da un trono a forma di lama o missile. Due fossati d'acqua presenti sul limitare del palco sono illuminati da freddissimi neon bianchi che proiettano tutt'intorno ondeggianti echi di immagini. «L'acqua è il veleno di questa storia» direbbe probabilmente Emma Dante: la sua Medea aveva ucciso i bambini annegandoli. Questo Otello immerge Desdemona nellacqua e poi la soffoca. Negli ultimi tempi, se si assiste in teatro a storie di Amore e Morte possiamo scommettere che ci troveremo di fronte o enormi letti di non tortuosa esegesi o abusi di giochi acquatici che, se non altro, farebbero piacere al buon vecchio Talete.
Il personaggio del Moro aveva sedotto, per motivi diversi, attori (fra cui - in serrata progressione – Carmelo Bene, Franco Branciaroli, Michele Placido) disposti, pur di incarnarlo, a spalmarsi il volto di cerone. D'Elia, scegliendo di non truccare il suo Otello (interpretato, in modo intenso e persuasivo, dal prestante Marco Brancato), oltre a risparmiare al pubblico l'impatto con la consueta e straniante inverosimiglianza, lo invita ad un approfondimento psicologico del personaggio (che, come Medea, è diverso non per il colore della pelle ma per la cultura da cui proviene) e sancisce, infine, lassoluto protagonismo del sardonico Iago: subito dopo la morte di Desdemona, la tragedia – senza mostrare né la sua posticcia e castrante punizione né il suicidio riscattatore di Otello - si conclude con una ovvia (agrodolce?) dichiarazione metateatrale del diabolico demiurgo («non sono quel che sono»). La sua vittoria – decretata dal trionfo della finzione (il forte che si finge debole sconfigge il debole convinto di essere forte) - è totale.
Una estrema naturalezza caratterizza la recitazione di tutti gli attori che, complice il serrato meccanismo a orologeria in cui d'Elia li ha intrappolati, rivelano con bruciante e asciutta chiarezza le ferite dei propri personaggi e i procedimenti mentali che le hanno, di volta in volta (e con agghiacciante climax), prodotte. Circondata da un branco di palestrati attori con giacche e pantaloni di pelle nera simil-Matrix (non dimentichiamo che Laurence Fishburne era stato Othello nellomonimo film, cui in parte attinge dElia, di Oliver Parker), la delicata e sottomessa Desdemona dellesile Elisa Pella ha indosso, dallinizio alla fine, una bianca camicia da notte, para-masochistico simbolo di lasciva purezza.
Sacrificato l'aspetto storico-sociale e l'ampio respiro epico del testo a vantaggio di una struttura hitchcockiana da torbido dramma domestico, d'Elia pone la tormentata figura del complessato Otello quasi in secondo piano per poter, con comodo, fare spazio al gigionismo di Iago che mostra al pubblico la propria crudeltà (non annacquata da presunti gusti omosessuali) con un, perfino troppo accentuato, perverso ed esuberante autocompiacimento.
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Otello
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Corrado d'Elia,
Marco Brancato
Marco Brancato,
Elisa Pella
Corrado d'Elia
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