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Carlo Giuffrè e l'elogio della follia

di Albarosa Camaldo
  Carlo Giuffrè
Data di pubblicazione su web 05/01/2005  

Dopo i trionfi di Miseria e nobiltà della passata stagione, ritorna a Scarpetta, Carlo Giuffrè, "il custode della grande tradizione attoriale napoletana", come è stato definito nella motivazione del prestigioso Premio Simoni, assegnatogli nel 2000. E lo fa modificando il celebre O miedico d’è pazze, riadattamento dell’abilissimo Eduardo Scarpetta di una pochade francese così in voga all’inizio del secolo scorso. L’esile trama racconta di Felice Sciosciammocca, maschera creata da Scarpetta e resa celeberrima da Totò, arrivato a Napoli dalla campagna con la pittoresca moglie Concetta (Antonella Lori), per vedere l’Ospedale dei pazzi che il nipote Ciccillo (Pierluigi Iorio) dice di aver costruito, dopo essersi finto medico per spillargli quattrini chiedendogli di finanziare la sua impresa. Come risolvere l’impasse? La trovata di Ciccillo è di portare lo zio a visitare la Pensione Stella, spacciandola per l’Ospedale, confidando nell’eccentricità dei personaggi che la abitano.

Il plot serve solo da pretesto, poiché il valore della commedia sta nella caratterizzazione dei finti pazzi su cui Giuffré agisce con una connotazione personalissima: dilata e cesella i siparietti dei vari protagonisti così da aggiungere alla farsa scarpettiana componenti che spaziano dall’avanspettacolo, alla canzone napoletana, al balletto, ad atmosfere clownesche. Esilarante diventa la galleria dei personaggi: un giovane irrequieto giornalista in cerca di ispirazione per le sue novelle da pubblicare quotidianamente (Vincenzo Borrino), l’attore in costume di scena che prova l'Otello (Rino Di Maio), il malinconico musicista che spera di partire per nuove tournée (Piero Pepe), la trasbordante ex sciantosa (Monica Assante Di Tatisso) che cerca di trovare un marito alla timida figlia Rosina (Eva Immediato) la quale, di fronte all’esuberanza della madre, non riesce a dire una parola. Felice, interpretato da Giuffrè, si trova travolto dalla girandola di sketches degli abitanti della pensione che hanno effettivamente comportamenti sopra le righe così da apparire a tutti folli. E qui sta la riflessione che Giuffrè inserisce in una sorta di elogio della follia convincendosi che un po’ di sana pazzia fa bene, dato che è segnale di libertà.

Ironico, incantato e toccante è il protagonista che Giuffé costruisce nel trucco e nel costume (il viso infarinato, gli occhi bistrati, la bombetta) simile a Charlot anche se naturalmente tutto napoletano nella malinconia e nella comicità. Commovente è l’interpretazione di Piero Pepe, dal viso molto espressivo e dalla mimica straordinaria, nella parte di un ex musicista famoso che non può pagarsi un caffè al bar e tanto meno una stanza, ma che spera di trovare un collega con cui riprendere la sua carriera. Riportano invece nell'ambiente del San Carlino, tempio dell'avanspettacolo, le vivaci esibizioni della madre in cerca di marito per la figlia, ma soprattutto di una platea di fronte a cui esibirsi nei vecchi numeri che aveva in repertorio quando era una sciantosa acclamata.

Spettacolari sono le scenografie di Aldo Buti, in particolare quella ad apertura di sipario, che riproduce a dimensione reale la Galleria Umberto di Napoli con le cupole, le vetrate dalla prospettiva perfetta. Vivaci i costumi di Giusi Giustini che contribuiscono alla caratterizzazione degli estrosi ospiti della pensione. A tirare le fila e a rendere all’unisono le gag dei finti matti è la salda regia di Giuffrè che riesce a fare dei veri caratteri dei suoi personaggi e non solo dei tipi.

 


Il medico dei pazzi
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Carlo Giuffrè
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