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Un occhio indiscreto su Il Re Bello

di Divina Vitale
  Roberto De Simone
Data di pubblicazione su web 03/01/2005  
Tra pochi giorni debutterà a Prato la nuova opera di Roberto de Simone, Il Re Bello (su libretto di Siro Ferrone tratto dall'omonimo racconto di Aldo Palazzeschi), una produzione sperimentale intrapresa dall'Università di Firenze in occasione dell'ottantesimo anniversario dell'Ateneo fiorentino. Durante le prove abbiamo intervistato il Maestro De Simone, che ha curato anche la regia.

Cosa le ha regalato, a livello personale, questa esperienza?

Quello che di solito mi regalano le avventure. La musica non si può descrivere. Si sente e basta.

Quale profilo "desimoniano" emerge di più in questo spettacolo?

In verità rientro nella norma degli artisti della vecchia scuola, allestitori delle proprie opere. In questo spettacolo cerco di rispettare l'idea di Palazzeschi, sia la componente ironica, sia la sintesi storica di un secolo come il Novecento, appena trascorso. Soprattutto quanto riguarda la prima parte del Novecento, dove agiva in particolar modo l'autore. Tutti questi trascorsi si sono assommati nella composizione di quest'opera.

Si cerca forse, con questo lavoro, di riportare la realtà teatrale, divenuta eccessivamente televisiva e "barocca", su binari più schietti e umili, teatro di tutti e per tutti?

Queste sono espressioni abbastanza ambigue oggi. Il teatro sta vivendo una stagione di degrado. Per quel che riguarda il teatro di prosa, sempre più mancano attori, mancano operatori. Il teatro oggi si fa come un'appendice della televisione. Nello stile rappresentativo del teatro di prosa si ama un realismo cinematografico, che in molti testi non funziona, ed ecco perché molte volte lo spettatore non capisce una parola di quello che si recita. Per quanto riguarda il teatro musicale, il melodramma si inserisce in esperienze teatrali che, perlomeno nell'ultima metà del secolo scorso, hanno rappresentato un qualcosa di élite, prodotto da musicisti arroccati in una specie di ermetismo musicale che indirizzavano i propri prodotti ad un pubblico selezionato e scelto, non al tradizionale pubblico dell'opera lirica. Innanzitutto ho scritto un'opera italiana, di tradizione melodrammatica, come prosecuzione di due grandi esempi musicali che sono Falstaff e Gianni Schicchi, senza lasciarmi sedurre dalla magniloquenza del sinfonismo viennese o da altre correnti. Mi sono mantenuto sulle linee di una cantabilità del melodramma tutto italiano. Oggi molto spesso si accomuna la lirica, per renderla quasi più accessibile, al musical, alla televisione. Ma io non amo queste cose, anzi. Per dirla in breve le detesto. 

Roberto de Simone
 
E' più facile gestire un gruppo di giovani emergenti, come in questo caso, o un gruppo di professionisti?

Non faccio grosse differenze. Gli interpreti sono stati selezionati un po' in tutta Italia e hanno avuto un addestramento lungo, il professionista al contrario di solito lavora l'ultimo mese. Qui la preparazione è stata più lunga sia musicalmente sia teatralmente. In un certo senso si lavora di più, ma si pretende la stessa resa di cantanti professionisti. Al pubblico tutto questo non interessa: vuole solo vedere un bello spettacolo.

Una curiosità. In altre interviste ho percepito da parte sua la denuncia di un abuso del monologo, nel teatro contemporaneo. E' così?

Il teatro lo preferisco tutto, non faccio differenza. Ci sono esempi sublimi di teatro del monologo come di opere corali. Nel teatro non ci sono leggi, né si possono facilmente dare definizioni. Il teatro è un mistero: ogni volta che lo facciamo scopriamo come va fatta quella cosa in particolare.
 

 

la locandina dell'opera
la locandina dell'opera



 

 
La segnalazione dell'opera

 
Inventare progettare costruire prototipi
articolo di Siro Ferrone 

Premeditata e all'improvviso
articolo di Maurizio Agamennone

 Trascrizione del seminario tenuto da Roberto De Simone per gli studenti dell'Università di Firenze

Note di regia
di Roberto De Simone



 
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