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L'ardita sfida di Ronconi

di Sara Mamone
  La Centaura
Data di pubblicazione su web 03/01/2005  
La rappresentazione, voluta da Luca Ronconi e resa possibile dallo Stabile di Genova e dal Teatro Metastasio di Prato, de La Centaura di Giovambattista Andreini (1622) è eccezionale e anomala nel panorama stento del nostro teatro, per la sua grandiosità, per la sfida intellettuale che implica questo recupero ardito della più ardita delle opere del grande comico e drammaturgo seicentesco (1576-1654), figlio d'arte, attore in proprio, marito della più celebre diva del tempo, Florinda, direttore di compagnia, abile politico, fine retore, insomma personaggio eminente di quella straordinaria vicenda artistica e intellettuale che fu il teatro barocco.

Operazione, quella ronconiana, resa ancora più ardita dalla scelta (che è replica dopo più di trent'anni di un pioneristico tentativo fatto con l'Accademia d'Arte Drammatica di Roma) del più difficile tra i testi di questo fecondissimo e "sommamente artifizioso" maestro della scena. La Centaura infatti più che testo teatrale fu una sfida gettata sul palcoscenico della sempre più stretta codificazione in generi, un tentativo estremo e virtuosistico di intervenire in quella progressiva chiusura con un'opera sbalorditiva e mostruosa (nel senso barocco di monstrum, cosa mirabile) che tutti i generi in sè racchiudesse.

Esibizione quindi di una maestria capace di far convivere i generi, essa stessa "Centaura", cioè anomala, dalla doppia natura, propone una storia complicatissima e praticamente non riassumibile, in cui iperboli e simboli, complesse e abusate vicende di amori contrastati, di padri ottusi, di sorelle perdute, di figli ritrovati, di naufragi, di vendette dinastiche si esprimono attraverso la forma dei tre generi in voga: Commedia il primo atto, Pastorale il secondo, Tragedia il terzo.
Sullo sfondo, ma determinante per la comprensione del tutto, che altrimenti pare ridursi a farraginoso marasma, la bruciante realtà storica nella quale Andreini compone e per la quale compone quest'opera, e cioè la riconciliazione di Maria de' Medici (a cui l'opera è esplicitamente dedicata e di cui adombra neanche sotto troppi veli svolgimento e felice conclusione) con il figlio re di Francia Luigi XIII. Questo contesto deve essere apparso a Luca Ronconi impossibile da rendere e allora la sua energia creativa (inesauribile e anche qui felicissima nella straordinaria macchina scenica inventata e nella suggestione del suo uso) si è tutta rivolta al gioco (scenico e interpretativo).

E qui stanno, a nostro avviso, i limiti di un'operazione che pur offrendo uno spettacolo, lo ripetiamo, imperdibile, risulta più felice in singoli episodi che non nel suo insieme, alternando momenti smaltati e incantevoli a notevoli sacche opache e sorde. E' proprio il gioco che viene a mancare e non bastano a risvegliare interesse ed emozione (o almeno partecipazione intellettuale) lo sforzo di chiarimento drammaturgico, né le belle scene (quali il mirabile bosco in cui si incontrano i Centauri), né le macchine immaginifiche e divertenti (le navi, l’ascensore del mago), né l'impegno di tutti gli interpreti. Non basta neppure, come sempre ai vertici di un'arte totale di cui solo lei pare detenere il segreto, l'impegno di Mariangela Melato, strepitosamente brava, e sempre giovanilmente credibile ma qui forse condotta su un cammino che ci è parso insieme ripetitivo e non sempre opportuno. Che senso ha parodiare l'autore di un'opera che nessuno conosce, con riferimenti del tutto estranei e che non appartengono a nessuno? E se non era parodia cos'era quel trascolorare di toni e voci, quel rotear d'occhi, quell'esibito distacco? Imperdibile dunque lo spettacolo resta, ma più per il coraggio delle intenzioni che per l'effettivo esito, che lascia la sensazione di un parziale errore di bersaglio.


La Centaura
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Mariangela Melato
Mariangela Melato


 
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