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Non si uccidono così anche i teatri? Ovvero multi-usa e getta

di Vittorio Franceschi
  un'immagine di Bologna
Data di pubblicazione su web 16/07/2002  
A Bologna, l'Assessore alla Cultura della Provincia ha annunciato che La Soffitta (teatro storico della città, posto in un immobile di proprietà della Provincia di Bologna) diverrà, nell'ambito di un progetto di ristrutturazione che riguarda l'intero edificio, "sala-multiuso". Contro il progetto sono intervenuti sul "Resto del Carlino" Alessandra Galante Garrone, la cui Scuola di Teatro ha avuto sede per vent'anni nello stesso palazzo, e Alex Bianchi, consigliere comunale e Presidente della commissione Urbanistica del Comune. Un intervento di sostegno del docente universitario Paolo Bollini (DS) è apparso in internet. Sempre su Web, ha risposto l'Assessore interessato, Marco Macciantelli. Siamo felici di accogliere sull'argomento l'intervento di Vittorio Franceschi, attore straordinario, scrittore originale e animatore per anni dello storico gruppo Nuova Scena.

Vorrei dire la mia sul destino del teatro La Soffitta in riferimento a quanto dichiarato dall'Assessore alla Cultura della Provincia Marco Macciantelli sul «Carlino» in data 13 luglio. Egli dice che «verrà recuperato l'Auditorium (?) e verranno confermate le sue funzioni originarie di sala-multiuso». Il teatro La Soffitta (che per molti anni si chiamò La Ribalta e fu caro a tutti i teatranti e al loro pubblico) non si è mai caratterizzato come "sala-multiuso". Questa orrenda espressione, che mi fa pensare agli impermeabili double-face o a quei set di cacciaviti che dovrebbero servire a tutto e non servono a nulla, ha la sua realizzazione in Bologna nella micidiale Sala Europa: luogo "multiuso" per eccellenza, freddo e ostile come pochi, dove il teatro è cadavere prima ancora che si apra il sipario.

I muri della Ribalta/Soffitta, invece, il teatro l'hanno sempre accolto con affetto: le travi di quella graticcia - che ricordo bene, perché anch'io ho fatto lì i primi passi - hanno sentito gli applausi di un pubblico povero e intirizzito, che uscito dalla notte buia della guerra correva a teatro per riscoprire la vita narrata dai poeti, e applaudiva L'Imperatore Jones di O'Neill che veniva rappresentato per la prima volta in Italia, nel 1949, dopo vent'anni di oscurantismo fascista, dal grandissmo Memo Benassi che a Bologna e alla Soffitta aveva trovato casa insieme a Elena Zareschi. E applaudiva con lui il giovanissimo Luciano Damiani (il geniale scenografo bolognese, uno dei più importanti d'Europa) e il giovanissimo regista Sandro Bolchi, poi divenuto uno dei più apprezzati registi della nascente TV, una TV, se così si può dire, ancora umana. Qui operò anche Ghilka Matteuzzi (in seguito, insegnante di dizione di alcune generazioni di attori bolognesi), e Massimo Dursi, fine drammaturgo e critico teatrale del «Carlino», e Carlo Maria Badini, che a lungo diresse quel teatro - e alla sua fiducia debbo il mio debutto bolognese - prima di diventare Sovrintendente alla Scala di Milano. E Bruno Lanzarini, cantore e cultore del dialetto cittadino, oltre che pregevolissimo interprete delle commedie di Testoni. Da questo teatro sono passati Laura Betti, Giustino Durano, i giovanissimi Paolo Poli e Piera Degli Esposti, l'ancora sconosciuto Aldo Trionfo, l'ancor più sconosciuto Carmelo Bene - allora fischiatissimo, ma questo fa parte del gioco e benedetto sia il pubblico che sa ancora fischiare - e altre decine e decine di attori, registi, autori italiani e stranieri: bisognerebbe spulciare negli archivi per poterli nominare tutti.

La Soffitta/Ribalta, quindi, è stata ed è da sempre, nella memoria e nella pratica dei bolognesi, "luogo dato agli spettacoli teatrali" e non "sala-multiuso" come si vorrebbe far credere. Ed è un bene di tutti, non solo della Provincia, perché la memoria della cultura e dell'arte, cioè di risorse vitali, necessarie come il pane e l'acqua, è sostanza e seme del progresso collettivo - stavo per dire del popolo - e i rappresentanti eletti dal popolo devono tenerne conto. Come sempre, sono gli uomini a decidere. I muri aspettano e subiscono gli insulti.

Da questo punto di vista i bolognesi non sono secondi a nessuno, sia nell'abbattere che nel costruire: dalla demolizione delle mura di cinta, a quella dei tre torrioni medioevali in Piazza della Mercanzia, a quella dei muraglioni di Porta San Vitale abbattuti nei primi anni '50 sotto i miei occhi attoniti di ragazzino. Per quanto riguarda il costruire, basterebbe l'esempio di quei mostruosi palazzi in via di ultimazione a Porta Mascarella, spie di una speculazione degna della gloriosa DC agrigentina, e la cui progettazione, suppongo, iniziò e fu approvata durante le ultime giunte di sinistra. Quella sinistra che ho sempre votato e che oggi mi appare come la casacca di Geppetto, "tutta toppe e rammendi" e già per metà ingoiata dal "terribile Pesce-cane".

E i bolognesi? Zitti zitti. La nostra città, sempre meno Dotta e sempre più Grassa (qualcuno la definì sazia e disperata e forse non aveva tutti i torti) da decenni in mano a politici di seconda o terza fila - e qui non c'entrano la destra o la sinistra: ai bolognesi va bene tutto, purché si concilii con la digestione e con la denuncia dei redditi - è ormai una grande marmellata omogenea e appiccicosa, e se gridare nel deserto è inutile, gridare nella marmellata è deprimente.

A proposito di teatri situati al primo piano e di compatibilità di tali strutture "con un utilizzo finalizzato al pubblico spettacolo": l'antico Teatro dei Rinnovati di Siena, che s'affaccia sulla famosa Piazza del Palio, è situato al primo piano dello storico palazzo. E così il centralissimo Piccolo Eliseo di Roma. E al primo piano, in Via Rossini a Torino, c'è il Teatro Gobetti, recentemente restaurato dal Comune di quella città e restituito con i suoi affreschi ai torinesi, come teatro per la Prosa. Del resto, il teatro La Soffitta fu già restaurato anni orsono - con quale dispendio di danaro pubblico non saprei dire - e reso agibile grazie all'uscita di sicurezza che dalla sala porta al cortile di Via San Procolo.

Dunque? Mantenere in vita una struttura di segno alto, come un teatro, e destinarla alla sua vocazione primaria, cioè alla Prosa, è una questione di volontà politica, di sensibilità e di lungimiranza. Destinarla a "sala multiuso" è solo una povera questione di business. Apprendo anche che il Prof. Lamberto Trezzini, interpellato, ha dichiarato che "quello spazio è troppo superato". Professore, allora è superato anche il laghetto dei Giardini Margherita: che ci sta a fare lì in mezzo? Non ci starebbe meglio un parcheggio?





 

Memo Benassi in un ritratto giovanile
Memo Benassi in un ritratto giovanile




Paolo Poli ai tempi della collaborazione con Aldo Trionfo
Paolo Poli ai tempi della collaborazione con Aldo Trionfo
(Alta sorveglianza di Jean Genet)
 

 
Laura Betti negl ianni Settanta
Laura Betti negli
anni Settanta




 
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